I pirati dell’Oceano Indiano

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Giornalisti embedded del Tg1 hanno indossato il nastro giallo della Marina militare con scritto «Non lasceremo soli i nostri fucilieri! No men left behind!». In effetti non sono stati lasciati indietro. Grazie alle instancabili pressioni del presidente Monti e del ministro della difesa Di Paola sulle autorità  indiane, nonché alla «donazione» di 146mila euro in rupie alle famiglie degli uccisi (definita da Di Paola «un atto di generosità »), «i nostri marò» sono stati scarcerati. Proprio mentre a Roma si svolgeva la parata militare del 2 giugno, voluta dal presidente Napolitano per «onorare gli italiani che hanno sacrificato la vita in missioni internazionali di pace». Come quella in cui sono impegnati i marò dei «Nuclei militari di protezione», dislocati a bordo di mercantili italiani nell’Oceano Indiano. Tali nuclei godono di «un adeguato grado di autonomia operativa»: possono quindi decidere autonomamente quando e come sparare. Questa vera e propria licenza di uccidere, conferita loro dal Parlamento, viene estesa con la Legge 130/2011 a contractor di compagnie private, che possono «utilizzare le armi predisposte sulle navi mercantili previa autorizzazione del Ministro dell’interno». Il tutto sotto l’operazione Ocean Shield (Scudo dell’Oceano) della Nato, il cui scopo ufficiale è «il contrasto alla pirateria al largo e lungo le coste della Somalia e del Corno d’Africa». Per tale operazione sono dislocati permanentemente nell’Oceano Indiano due gruppi navali multinazionali della Forza di reazione rapida della Nato, sotto il comando marittimo alleato di Napoli. La Ocean Shield è a sua volta collegata alla Cmf, forza marittima multinazionale composta da 36 navi da guerra con supporto aereo, la quale, agli ordini della componente navale del Comando centrale Usa in Bahrain, ha la missione di «combattere il terrorismo e la pirateria nelle acque internazionali del Medio Oriente, da cui passano alcune delle più importanti rotte commerciali del mondo». Il vero scopo dell’imponente schieramento navale, cui partecipa anche l’Italia, è dunque il controllo delle rotte petrolifere e, allo stesso tempo, la preparazione di altre guerre per il dominio della regione. Con il pretesto della lotta alla pirateria. Mentre le stesse potenze che presidiano militarmente l’Oceano Indiano continuano a depredare le acque della Somalia e di altri paesi con le loro flotte pescherecce e a inviarvi le navi dei veleni a scaricarvi i rifiuti tossici del mondo ricco. Provocando carestie e malattie che in Somalia hanno spazzato via interi villaggi di pescatori, costringendo tanti giovani, per sopravvivere, a fare da manovalanza nelle azioni di pirateria. E altri, come gli indiani contro cui hanno sparato i marò, a rischiare la vita per poche rupie, sperando che, se vengono uccisi, le famiglie siano risarcite dalla «generosità » dei pirati istituzionali.


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