L’ultima sfida dell’euro, salvare Madrid

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La grande partita di poker sta volgendo al termine. Per ora tutti continuano a bluffare, la Grecia con il resto d’Europa, la Banca centrale contro i governi dell’euro e viceversa, la Spagna con se stessa. Ciascuno cerca ancora di mettere paura all’avversario o almeno guadagnare tempo. Ma tutti sanno che tra poco non ce ne sarà  più: entro luglio gli elettori europei e i grandi investitori globali rischiano di rendere la gestione di questa crisi un rompicapo definitivo. 
Il cammino delle prossime settimane è segnato dai passaggi in cui ciascuno deve mostrare le carte. Tra otto giorni il Fondo monetario pubblicherà  il suo esame delle banche spagnole (lo Fsap), e allora si vedrà  nei numeri ciò che tutti sospettano già  da tempo. Il buco nel settore del credito iberico è di 60 o 70 miliardi di euro. Poco più tardi produrranno i loro responsi Roland Berger e Oliver Wyman, i consulenti chiamati da Madrid per sondare la tenuta degli istituti. È da lì che, con ogni probabilità , può partire la catena di eventi che il premier Mariano Rajoy sostiene di poter evitare. Per le banche spagnole sembra inevitabile un piano di ricapitalizzazione da parte del Fondo europeo salvataggi e del Fmi. Madrid da sola non può farcela. Per garantirsi l’impiego di una «forza schiacciante», secondo la dottrina di Colin Powell nella prima guerra del Golfo, servono circa cento miliardi. 
Su questo i negoziati formali non sono partiti ma la Germania non si farà  fermare dal muro di gomma per ora opposto da Rajoy. Appena eletto, il premier non vorrebbe finire subito sotto tutela europea. Però ai dati ufficiali di fine 2011 il sistema bancario tedesco era esposto sulla Spagna per 146 miliardi di dollari (quello italiano per 27): questi sono argomenti sufficienti per aggirare anche l’ultimo ostacolo, l’obbligo legale per il Fondo salvataggi Efsf di versare gli aiuti ai governi e non direttamente alle banche di un Paese. La Spagna non verrà  spinta sotto l’ombrello di un «programma» a pieno titolo come Grecia o Portogallo. Ma forse già  nella seconda metà  di giugno, il suo governo chiuderà  un accordo per ricevere il denaro e versarlo tutto come capitale nelle banche: toccherà  poi soprattutto a queste ultime applicare le condizioni di riforma imposte dalle autorità  prestatrici.
È allora che potrà  entrare nel vivo l’altra partita di poker, quella fra la Bce e i grandi governi dell’euro. Per ora la fuga del risparmio verso la Germania rende illiquida l’economia del Sud Europa e consegna al Nord il privilegio paradossale di beneficiare della crisi altrui. Ma come ha ricordato ieri George Soros al Festival dell’Economia di Trento, non potrà  durare a lungo. Già  lo choc di una possibile uscita della Grecia dall’euro rischia di accelerare una corsa agli sportelli in altri Paesi. 
In un campo minato del genere, tutti guardano alla Bce nella speranza che estragga dal cilindro un’ennesima offerta straordinaria di liquidità , acquisti massici di bond o anche solo un taglio dei tassi. Eppure vista dall’Eurotower la stessa realtà  appare diversa: i banchieri centrali pensano sia inutile dar fuoco alle polveri se tutto intorno il panorama resta com’è. Mario Draghi ha appena detto che non tocca alla sua istituzione riempire il vuoto politico dell’unione monetaria. Intende dire che Francoforte pretende un accordo concreto al vertice europeo di fine giugno e senza di quello, se possibile, eviterà  di dare una mano. 
In fondo è un braccio di ferro già  visto. Quest’inverno Draghi aveva preteso che nascesse un «Fiscal compact», le regole di bilancio, per poi somministrare al sistema l’ossigeno della Bce. Adesso vuole vedere progressi in Europa sulle banche: un sistema di garanzie comuni sui depositi, un fondo comune per gestire i fallimenti, un’autorità  di vigilanza europea per i grandi gruppi. La Bundesbank resta contraria, Angela Merkel invece su alcuni di questi punti sta trattando di buona lena. Anche la Cancelliera sa che forse è la sua ultima occasione. Presto, entrerà  nel tunnel delle elezioni tedesche del settembre 2013. E se sull’euro è disposta a bluffare, con i suoi elettori no.


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