“Hanno vinto con il 2-3% i soci privati di Unicredit”

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«Nessuno ha espresso critiche all’uomo e al suo passato, ma io non ho condiviso né la sostanza né il metodo con cui si è proceduti alla sfiducia su Perissinotto, per cui, per coerenza, mi dimetto». à‰ un Diego Della Valle meno sparagnino del solito quello del post consiglio di aministrazione delle Generali, anche se nella discussione, da tutti giudicata “civile”, qualche invettiva è sicuramente volata. La preoccupazione del fronte che ha sostenuto il group Ceo del Leone riguarda soprattutto i possibili contraccolpi sui mercati conseguenti a un cambio di cavallo in corsa senza aver creato il consenso sufficiente. Tanto è vero che due consiglieri indipendenti, Paola Sapienza e Cesare Calari, si sono adeguati solo per evitare fratture insanabili in seno al cda. Insomma secondo Della Valle e C. il passaggio si poteva gestire più delicatamente, parlandone in consiglio e non nelle austere stanze di Mediobanca dove Perissinotto è stato convocato mercoledì scorso alla presenza di Renato Pagliaro, Alberto Nagel e Lorenzo Pellicioli. 
Ma la domanda è, chi ha vinto la partita di potere questa volta? «Hanno vinto i soci con il 2-3%, quelli che hanno l’ossatura sufficiente per farsi sentire su Mediobanca e che in questo caso sono anche nel libro soci di Unicredit, che di piazzetta Cuccia è il principale azionista». Dunque per il controllo di Generali è stato determinante il riassetto azionario che è avvenuto all’inizio dell’anno nella banca di Piazza Cordusio, che ha varato a gennaio un aumento di capitale da 7,5 miliardi. In quei giorni, con il titolo a picco per il prezzo dell’aumento a forte sconto e la forte instabilità  dei mercati, alcuni imprenditori italiani ne hanno approfittato per entrare o rafforzare le proprie posizioni. Del Vecchio è salito dallo 0,5 all’1%, Caltagirone ha abbandonato in tutta fretta la nave pericolante del Monte dei Paschi per acquistare più dell’1% di Unicredit, la De Agostini ha arrotondato la sua posizione dello 0,5% e tutti si sono stretti intorno al vicepresidente Fabrizio Palenzona, ultimo uomo di potere ma senza azioni dopo la cacciata di Cesare Geronzi. «I ragazzi di Mediobanca – come li chiama Della Valle – questa volta non hanno dato le carte, hanno subito la situazione. E forse avrebbero preferito arrivare fino alla scadenza naturale del mandato di Perissinotto». Ma invece hanno accompagnato il blitz, da azionisti di riferimento con il 13,5% del capitale e un controllo di fatto del Leone sancito dall’Antitrust che tiene sott’occhio la situazione. Sul comportamento di Nagel e Pagliaro ha molto probabilmente pesato il comportamento di Perissinotto nella vicenda del salvataggio di Fondiaria Sai. Cioè il sospetto di un via libera non dichiarato a Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago e alla loro Palladio Finanziaria, che insieme a Matteo Arpe hanno formulato una proposta alternativa a quella delle banche e che con i loro esposti a Consob e Isvap stanno rendendo il percorso che porta alla fusione con Unipol molto più complicato del previsto. 
«Il peccato originale di Mediobanca è stato quello di non aver aperto la governance a nuovi soci che avrebbero potuto rafforzare il capitale e il nucleo dei soci privati stabili». Della Valle si riferisce a ciò che è successo a fine ottobre, quando è stato rinnovato il patto di sindacato di piazzetta Cuccia che lo ha visto uscire all’ultimo momento e non esercitare una call che l’avrebbe portato intorno al 3%. Il fondatore della Tod’s dice di aver proposto in quell’occasione un suo ingresso tra il gruppo dei soci industriali di Mediobanca con una quota importante e che avrebbe anche potuto crescere. In questo modo di creava un contrappeso forte a Unicredit e al gruppo dei francesi guidato da Vincent Bollorè. Invece niente, Nagel ha cercato di far entrare Della Valle nel cda al posto di Jonella Ligresti ma questi si è tirato indietro poiché era solo una poltrona e non vi era un progetto di più ampio respiro sulla governance. «Così adesso non c’è più un sistema, che poteva essere rinnovato, ma alleanze che si formano a seconda dei singoli affari». Così come è successo su Rcs, per esempio, dove i due principali azionisti, Mediobanca e Fiat, hanno preso il pallino in mano, inserito finti indipendenti in cda e nominato un nuovo amministratore delegato per trascinare la società  fuori dalle secche. Scelte anche dettate dal rischio che il cattivo andamento economico e finanziario delle partecipate ben presto si riverberi sui conti della mamma, leggi Mediobanca, e che a farne le spese possano essere gli stessi amministratori che in questi mesi hanno promosso gli scossoni ai vertici. Se invece Mario Greco e Pietro Scott Jovane riusciranno a imprimere una svolta positiva a gestione e andamento del titolo delle rispettive società  dove sono stati nominati, tutti i soci torneranno a essere contenti e a incassare lauti dividendi.


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