Ora i cinesi scoprono il cibo “pulito”

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PECHINO – Anche la Cina, discarica alimentare e primo inquinatore del mondo, irrompe nel mercato globale dei cibi bio e della green economy. Boom dei consumi e crescita sostenuta mutano abitudini ed esigenze dei nuovi ricchi, ma soprattutto la vita di un ceto medio di oltre 400 milioni di individui, il più numeroso del pianeta. Gli ex comunisti convertiti al capitalismo non sono più disposti a registrare una delle attese di vita più basse del mondo. Uno studio shock dell’Accademia delle scienze di Pechino ha rivelato che il cinese medio, per aspetto e salute, è di 8,2 anni più vecchio rispetto all’età  anagrafica. La preoccupazione per la sicurezza del cibo, della qualità  dell’aria e dell’acqua, balza così al primo posto in una popolazione che pretende dalle autorità  una “svolta verde”. 
La Cina energivora, per mantenere la stabilità  sociale, sceglie dunque la strada dell’ambiente e per industria e agricoltura si annuncia il più grande affare del secolo. L’obiettivo di Pechino non ha precedenti: diventare leader della crescita economica compatibile con la natura. L’approccio è di mercato, ma i mezzi rappresentano una sfida alla sostenibilità : oltre 2 mila miliardi in cinque anni per migliorare l’efficienza energetica, riconvertire le centrali a carbone, costruire città  a impatto zero, lanciare strade e grattacieli ideati come centrali termiche, alimentate da risorse naturali e autofinanziate. 
Il viceministro dello Sviluppo, Xie Zhenhua, ha confermato l’obiettivo di ridurre l’intensità  energetica del 16% e quella del carbonio del 17% prima del 2015. Entro quella data il governo investirà  altri 316 miliardi di dollari per tagliare l’inquinamento. Ma sarà  il modello di sviluppo stesso a risultare rivoluzionato: meno vecchie industrie, in gran parte prive di impianti di depurazione, e più terziario. La quota dei servizi sul Pil, dall’attuale 43%, supererà  il 47%, avvicinando quella degli Usa. Uno sforzo impressionante: nel 2012 Pechino sta investendo 16 miliardi di dollari in energie rinnovabili, mentre altrettanti saranno spesi per favorire la diffusione di automobili ed elettrodomestici a risparmio energetico. 
Uno studio della Banca mondiale ha certificato che lo scorso anno la Cina ha già  conquistato il primato degli investimenti nella green economy, con stanziamenti per quasi 55 miliardi di dollari. Il risultato? Il Dragone, primo produttore mondiale di impianti eolici e a biomassa, di pannelli solari e fotovoltaici, e con oltre 50 centrali nucleari in costruzione, entro il 2020 si doterà  di un’edilizia con una soglia di efficienza energetica del 30%, sui livelli della Danimarca. La rivoluzione verde della Cina, impegnata a invertire il flusso dei suoi grandi fiumi, costruire dighe e piantare 40 milioni di ettari di foreste, non resterà  un progetto politico. Autorità  e investitori privati stimano che nel giro di tre anni produrrà  profitti per 350 miliardi di euro, prima opportunità  di profitto globale per le multinazionali. La vecchia fabbrica del mondo si rinnova come super-potenza verde. Sul successo della svolta incombe lo scontro con gli Stati Uniti, decisi a non lasciarsi sfuggire il controllo del business del futuro.
In un sondaggio del Quotidiano del popolo l’80% dei cinesi si è dichiarato «molto preoccupato» per la qualità  dell’ambiente e ha puntato il dito contro la corruzione che dilaga tra imprese private e funzionari di partito. Gli effetti del benessere si dimostrano però più resistenti delle difficoltà . L’esplosione degli alimenti biologici risidegna le campagne cinesi e muta i centri commerciali. L’addio a fertilizzanti, antiparassitari e mangimi chimici, per la prima volta costringe migliaia di aziende a riconvertirsi. 
Il settore bio, nel 2011, in Cina ha segnato una crescita annua del 45%, più 64% nei primi quattro mesi del 2012. Nove cinesi su dieci, scossi dagli scandali aliementari degli ultimi anni, dichiarano di essere pronti a spendere di più per mangiare più sano e gli ingredienti organici non sono più uno status symbol, come una berlina tedesca nera. Nel 2007 il biologico in Cina valeva un miliardo di euro. Nel 2011 si sono sfiorati i 7 e quest’anno saranno superati i 10. Un anno fa ottennero la certificazione bio 678 aziende agricole, rispetto alle 345 del 2010. Nel primo quadrimestre 2012, nonostante l’introduzione di vincoli e controlli più rigidi, il marchio è stato già  assegnato a 380 imprese. 
La nuova sensibilità  verde dei cinesi è tale che le periferie delle metropoli, prima occupate dalle discariche, sono ora destinate a orti, frutteti, pascoli e fattorie ceduti in affitto al ceto medio urbano, che vi trascorre il fine settimana. Tornare contadini verdi nel tempo libero, per operai rossi e colletti bianchi ammassati in megalopoli da 60 milioni di abitanti, è l’ultima moda in tutta l’Asia. Una scommessa che l’Occidente non può ignorare.


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