Lavoro, 60 milioni di “posti verdi”

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In Brasile, potenza globale di domani, l’economia ecologica dà  lavoro già  oggi al 7 per cento degli occupati. Persino nel povero Bangladesh, le case a energia solare sono un affare per chi le costruisce e chi le compra. Green economy, ecco la sfida che il mondo può vincere per venire a patti con la natura, creare più lavoro, e diffondere vita dignitosa, progresso tecnologico e prosperità  sostenibile. La grande chance del futuro prossimo la indica il rapporto pubblicato ieri dall’Ilo (International Labour organization, l’agenzia delle Nazioni Unite per il lavoro) dedicato alla green jobs initiative. Fino a sessanta milioni di persone in più sul nostro pianeta, rivela il dossier, potrebbero trovare un lavoro dignitoso e sicuro nel prossimo ventennio se il mondo sceglierà  definitivamente la transizione a un’economia sempre più verde.
“Working towards sustainable development: opportunities for decent work and social inclusion in a green economy”, s’intitola il dossier che la Ilo ha pubblicato, in vista della conferenza “Rio+20” delle Nazioni Unite, dedicata appunto al grande tema: come garantirsi sviluppo economico, progresso sociale e lavoro rispettando i limiti delle risorse della natura sul pianeta. Quasi duecento fitte pagine di studio scientifico documentato, arricchite da grafici e tabelle, calcoli logaritmici ed esempi-reportage di casi concreti di successo della green economy, dai paesi più ricchi e avanzati ai più poveri e sfortunati del mondo. 
«L’attuale modello di sviluppo si è dimostrato inefficiente e insostenibile, non solo per l’ambiente ma anche per le economie e le società », sottolinea Juan Somavia, direttore generale dell’Ilo. Sembra quasi che l’agenzia dell’Onu si richiami o faccia proprie le idee dei grandi rivoluzionari del momento, i grandi nomi dell’economia alternativa e dell’ecogiustizia sociale e ambientale, a cominciare da Jeremy Rifkin o Vandana Shiva. È la seconda volta in quattro anni che l’Ilo pubblica un dossier-rapporto sull’opportunità  urgente di un ripensamento e ristrutturazione dell’economia mondiale, dopo il primo studio di quattro anni fa.
Da allora ad oggi, nota il documento uscito ieri, un riorientamento globale purtroppo non è ancora iniziato, ma le esperienze compiute, nei paesi altamente industrializzati come nel Terzo mondo, hanno fornito risultati incoraggianti. C’è ovviamente l’esempio tedesco, con gli investimenti e il picco occupazionale creati dalle nuove leggi che impongono severi limiti al consumo energetico degli edifici. O con l’addio al nucleare, che costerà  sì 32 miliardi ma sta creando un boom di posti di lavoro. Nella costruzione di centrali eoliche e fotovoltaiche, e prossimamente nella costruzione di una vera e propria rete di “autostrade elettriche”, cioè linee elettriche ad alta tensione che porteranno nel sud più industrializzato l’energia rinnovabile prodotta in maggior misura nel nord o sulla costa. 3800 km di linee ad alta tensione, posti garantiti per anni. Ma anche lontano dalla ricca Europa del welfare, i passi avanti si vedono. Colombia e Brazile hanno creato minijobs che salvano vite, affidando l’incarico di raccoglitori di rifiuti part-time a 15-20 milioni di persone. Le misure per salvare le foreste hanno creato impieghi in Nicaragua, le centrali di produzione d’energia grazie ai biogas o alle biomasse fanno uscire milioni di indiani dei ceti più bassi dalla miseria nera. Ovunque, dall’Europa al subcontinente, la produzione d’acciaio con metalli riciclati consente risparmi enormi.
Riconvertire e ripensare l’economia mondiale secondo i principi della sostenibilità  ambientale, dice ancora Juan Somavia, «non è una scelta job-killer (distruttrice di posti di lavoro) come a volte si sente dire. Al contrario, se gestita nel modo giusto, può portare a creare più posti di lavoro, a una maggiore qualifica degli impieghi esistenti, alla riduzione della povertà  su base globale, a una maggiore inclusione nelle società » dei ceti emarginati a causa della miseria. La rivoluzione della green economy tra l’altro, notano gli esperti dell’Ilo, non solo può coinvolgere in modo positivo almeno la metà  della forza lavoro mondiale, cioè circa un miliardo e mezzo di persone. In ogni settore, dall’agroforestale alla pesca, dall’industria manifatturiera al trasporto. Le sole energie rinnovabili hanno creato 5 milioni di posti di lavoro, numero raddoppiato in cinque anni dal 2006 al 2010. 
La green economy ha anche un secondo aspetto qualitativo, oltre alla sostenibilità  portata dal rispetto dell’ambiente. Impone per forza di cose rapporti di lavoro più umani, apre più spazi ai diritti sindacali, alle pari opportunità  delle donne, specie nel terzo mondo. Aiuta indirettamente, per l’impegno e i controlli che richiede, anche a combattere la piaga del lavoro minorile, stimola ovunque il dialogo tra le parti sociali. Persino nelle produzioni di beni durevoli inquinanti, i vantaggi si vedono: sempre più linee aeree rinnovano la loro flotta con velivoli ad alta efficienza, che consumano e inquinano sempre meno l’aria attorno al pianeta blu. La sfida insomma non è da perdere, raccoglierla vale la pena per tutti.


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