Il tweet (equivocato) preso sul serio e gli allarmi (reali) non ascoltati

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Sono anni che il professore, direttore del Centro Ricerche di Bologna dell’Enea, batte e ribatte. Niente da fare: tutti sordi. Rinviano, perdono tempo, sbuffano per l’insistenza degli «allarmisti», accusati di essere corvi del malaugurio. Gli impianti a rischio, molti dei quali obsoleti, sarebbero almeno un migliaio. Classificati in gergo tecnico come esposti al «Rir»: Rischio Incidente Rilevante. Sono sparsi per un po’ tutta la penisola. Dal Nord al Sud. Le aree industriali che più dovrebbero essere monitorate, studiate, sottoposte alle più scrupolose verifiche, per Martelli, sono però due. Entrambe in Sicilia.
La prima è a Milazzo, che sta in faccia a Lipari e potrebbe venire investita «da un collasso dei vulcani sottomarini» delle Eolie. La seconda a Priolo, a metà  strada tra Siracusa e Catania, un territorio colpito l’11 gennaio 1693 da quello che probabilmente è stato il sisma più spaventoso che si ricordi nella nostra storia.
È dal 2002, ha ricordato recentemente Francesco Celi su La Gazzetta del Sud, che la Regione Sicilia prima e il Parlamento poi hanno inserito l’area di Milazzo tra i siti da bonificare di interesse nazionale. Dieci anni dopo, il piano di risanamento non è mai partito. Nonostante uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità , nel 2009, abbia confermato pesanti ricadute sulla salute degli abitanti della zona e soprattutto su quella dei bambini.
Cosa succederebbe se un maremoto come quello che seguì il sisma del 1908 a Messina sollevando a Sant’Alessio Siculo, sulla costa a sud di Messina, onde terrificanti di 11,7 metri di altezza, colpisse gli stabilimenti industriali? L’ipotesi dovrebbe gelare il sangue a chi ha responsabilità  di governo. E invece, ha denunciato Alessandro Martelli in una intervista alla rivista web della Protezione civile, mentre altri Paesi (compresa la Francia, meno esposta ai terremoti di noi) si attrezzavano ad affrontare eventuali calamità  con normative specifiche per la progettazione anti-sismica degli impianti Rir, noi siamo rimasti fermi: «La normativa attuale è del tutto insufficiente e i controlli sono affidati solo ai gestori».
I quali, accusa l’ingegnere dell’Enea, «si affannano a negare l’esistenza del problema del rischio sismico dei loro impianti e temono i costi da affrontare per assicurare un’adeguata protezione dal terremoto». Autolesionismo: «La storia, anche recente, insegna che chiudere gli occhi davanti al “rischio terremoto” non paga, neppure dal punto di vista economico. E soprattutto, prima o poi, porta a conseguenze drammatiche».
L’altro ieri il problema (già  sollevato nel settembre 2011 in una interrogazione di Angelo Alessandri, «interrogazione alla quale il governo non si è neppure degnato di rispondere») è stato riproposto in una audizione alla Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera. E lì Martelli e Paolo Clemente, responsabile del Laboratorio prevenzione rischi naturali e mitigazione effetti dell’Enea, l’hanno detto chiaro e tondo: attenzione!
«Circa la metà  del territorio nazionale», hanno ricordato gli scienziati, «è classificato a rilevante rischio sismico e con tali eventi bisogna imparare a convivere, anzi proprio dalle difficoltà  connesse al vivere in un territorio ostile, devono trarsi stimoli e spunti per progredire più di ogni altro nel campo scientifico e tecnologico». Il che purtroppo, come tanti episodi inaccettabili si sono incaricati di dimostrare, non sempre avviene. Anzi: «Appare ovvio, ma lo si afferma inascoltati da tanti anni, come sia indispensabile abbandonare la logica delle emergenze successive per passare ad una corretta politica di prevenzione».
E sia chiaro: nessuno può sentirsi al sicuro. «A causa dell’incompletezza dell’informazione storica e delle conoscenze dei fenomeni che generano gli eventi sismici, le mappe di pericolosità  sismica basate sui metodi probabilistici sono state smentite più volte negli ultimi anni. L’esempio più evidente viene proprio dal Giappone, dove gli eventi sismici rilevanti degli ultimi anni sono avvenuti in zone cui era stata assegnata una bassa probabilità  di accadimento».
E come ci prepariamo, noi, all’eventualità  di nuove scosse, anche rovinose? «È ben nota la notevole vulnerabilità  del patrimonio edilizio e del sistema infrastrutturale industriale e produttivo italiano. Secondo stime recenti, circa il 70% dell’edificato non è adeguato al relativo sisma di progetto al sito: ciò rende il rischio sismico sul nostro territorio potenzialmente maggiore di quello di Paesi dove la pericolosità  è più elevata. Il motivo di tale situazione è da ricercare soprattutto nel fatto che gran parte del nostro patrimonio edilizio è obsoleto ed è stato costruito in assenza di norme sismiche o, comunque, delle conoscenze necessarie per la corretta progettazione di costruzioni antisismiche». Peggio: ancora oggi «in sostanza, non c’è obbligo di verifica dello stato di salute delle costruzioni né di intervento». Miopia. Miopia pura. 
Lo raccontava ieri mattina Gianluca Rossellini sul Corriere del Mezzogiorno proprio a proposito di Milazzo e del verbale del Comitato tecnico regionale per la sicurezza dopo un controllo alla raffineria un paio di settimane fa. Verbale dove si legge che l’azienda petrolchimica «in relazione agli obblighi dell’Opcm n.3274 del 20 marzo 2003 ha dichiarato di aver effettuato solo verifiche su edifici civili e sulle fondazioni degli impianti». Secondo gli ispettori «in assenza di verifiche dinamiche che tengano conto dei nuovi parametri (…) e delle connessioni esistenti tra centri di pericolo (colonne, reattori, serbatoi, pipe rack) e le tubazioni di fluidi pericolosi, non potranno essere trascurate le rotture maggiori il 100% del diametro della tubazione». E i pompieri? Almeno loro sarebbero all’altezza? Auguri. Il rapporto denuncia «l’inadeguatezza della caserma dei vigili del fuoco all’interno della raffineria sia in termini di posizione che di protezione». Diciamola tutta: dovesse capitare qualcosa agli impianti di cui parliamo, nessuno osi parlare di «fatalità ».


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