Industriali e agricoltori ora contano i danni Perso l’1 per cento del Pil
FINALE EMILIA (Modena) — Hanno perso i grandi e hanno perso i piccoli. Quelli del comparto biomedico e quelli dell’agroalimentare, quelli del meccanico e quelli del ceramico. Perdite per i danni alle strutture, perdite per la produzione sospesa. Un danno complessivo che il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi quantifica in un impatto sul Pil dell’1 per cento, in una regione che da sola contribuisce per il nove.
«Non posso dire che le conseguenze del doppio sisma siano solo i capannoni lesionati. Quello nuovo, per esempio, lo avevamo inaugurato per i trent’anni dell’azienda, il 30 aprile, che coincidevano anche con il mio compleanno», racconta Claudio Sabatini, uno dei due soci della Cigaimpianti, manutenzione e costruzione di macchine in Italia e nel mondo, mentre sette operai in via Miari a Finale Emilia costruiscono casette di legno per venti colleghi che hanno perso casa e verranno a dormire qui. «Il mio problema non è soltanto il fatto che una parte dei 96 dipendenti non può rientrare al lavoro. Il guaio è che se anche rientrasse, di lavoro non ce ne sarebbe. Molti stabilimenti sono caduti, nel Bolognese alcuni preferiscono per prudenza l’evacuazione. A chi facciamo assistenza?».
La Cgil Emilia Romagna conta 3.500 aziende crollate o inagibili e ventimila persone senza lavoro: cinquemila nella meccanica, quattromila nell’alimentare, 4.000 nel biomedicale, duemila nella ceramica. E poi c’è l’agroalimentare, la «green economy». Soltanto il Grana Padano ha 70 milioni di danni tra le centomila forme cadute il 20 maggio e le oltre 260 mila danneggiate o distrutte l’altro ieri. Per l’aceto balsamico si parla di quindici milioni. Coldiretti e Cia fanno la stessa prima stima di mezzo miliardo di euro per l’intero comparto: macchinari distrutti, animali morti, crolli e sversamenti di prodotti nelle campagne, fienili, stalle, stabilimenti per la lavorazione della frutta danneggiati o inutilizzabili.
Francesco Vincenzi è un agricoltore di Mirandola ed è preoccupato per i suoi frutteti di pere. «L’azienda è stata rasa al suolo, sotto i fabbricati sono rimasti le attrezzature, i trattori, insomma tutto quello che mi serve per la raccolta». Stefano Rimondi, amministratore delegato della Belco, una delle cinquemila imprese del polo industriale di Mirandola interdette dall’ordinanza del sindaco Maino Benatti, non nasconde la preoccupazione per il suo settore, il biomedicale: «Il fatturato annuo supera gli 800 milioni di euro. E praticamente tutte le imprese del nostro comparto sono state danneggiate».
Danni diretti e indiretti. «Quelli diretti per noi sono di cinque milioni di euro. Per il ceramico questa stagione è come Natale per i commercianti. Dopo il nuovo terremoto di ieri i miei forni si sono spostati di altri cinque centimetri, che si sommano ai venticinque di domenica scorsa. Abbiamo un indotto importante di artigiani, muratori. Ma i danni indiretti ci arriveranno con la perdita dei clienti. Ogni giorno che stiamo fermi bruciamo centinaia di migliaia di euro», parla Renzo Vacondio, ad di Ceramica Moma, 140 dipendenti ora in ferie e poi in cassa integrazione, un fatturato di 50 milioni di euro, il 70 per cento all’estero.
Nello stabilimento della multinazionale inglese Titan Europe Plc di Finale Emilia, che soltanto qui fattura 70 milioni di euro, 33 mila metri quadrati di capannoni sono totalmente inagibili per i 250 dipendenti. Per i prossimi due-tre mesi la produzione sarà spostata in Turchia e in Francia, poi si vedrà . Martedì erano stati richiamati pochi volontari. L’ingegnere Massimo Colombini, responsabile di sicurezza e ambiente, non potrà mai dimenticare un fermo immagine. «I miei operai in lacrime dopo la scossa delle 9. Abbiamo fatto l’appello sul piazzale, c’eravamo tutti. Vedere la loro angoscia è stato per me il colpo più brutto».
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