Tra gli abitanti di una terra che trema ma non di paura

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La naturale compostezza qui è già  nel paesaggio. Campagna coltivata, carnosa, rassicurante. E poi capannoni. Vie laterali che si perdono nei campi. Sole e silenzio, rotto dal suono delle sirene. Alberi. Ogni tanto sfila un campanile crollato, brucia come una scheggia fuori posto in un paesaggio dove regna una calma impressionante. Ancora capannoni, uno dietro l’altro. Le donne pedalano. Tutti pedalano. Sfrecciano le moto ma è l’incedere tranquillo delle biciclette che colpisce in una giornata come questa. C’è appena stato il terremoto. Ogni tanto lontano nei campi si intravede un mucchietto di colore, è una tenda non un accampamento, sembra la traccia di una scampagnata. Invece sono piccoli gruppi di sfollati, persone che non se la sentono di dormire a casa. Non c’è traccia di agitazione, anzi. Solo qualche lacrima e poca voglia di parlare tanto per parlare. I capannoni accartociati che sfilano lungo la pianura, uno su tre, sono il primo evidente segno della tragedia. L’impressione è che poteva andare molto peggio.
La Bbg di San Giacomo Roncole, a due passi da Mirandola, uno dei centri più colpiti dal terremoto, è come se si fosse sdraiata per terra. Il tetto dell’azienda che produce componenti biomedicali è scivolato, come un castello di carte che si piega sotto un peso insopportabile. Lì dentro, pochi minuti dopo le nove, sono morti tre lavoratori. Enea Grilli, uno dei tre titolari, e due operai, Eddi Borghi e Vincenzo Grilli. Cinque squadre di vigili del fuoco per tutta la mattina hanno sperato di cogliere tracce di vita sotto le macerie. Marco è venuto a guardare la Bbg, sta in disparte, misura le parole. «Lavoro in un’azienda qui vicino – racconta – e quando abbiamo sentito la scossa eravamo una decina, stavamo cercando di riorganizzare il lavoro tirando fuori la merce dal magazzino, abbiamo appena fatto in tempo a scappare, dopo pochi secondi il tetto è crollato. Di solito siamo in cinquanta… non ci voglio nemmeno pensare. La nostra economia è distrutta». Una signora piange in silenzio, la lasciano piangere senza disturbala. A pochi chilometri da qui, un’altra fabbrica – le chiamano le fabbriche della morte, adesso – ha inghiottito altri quattro lavoratori. La Haemotronics di Medolla. La struttura vista da fuori sembra intatta, il tetto e il pavimento sono sprofondati all’interno. Altre lacrime inconsolabili. Quelle di una signora che è venuta a prendere la sorella che lavora qui. «Non vuole tornare a casa – dice – è quella ragazza con addosso la tuta verde, continua a piangere e dice che vuole restare qui… questa storia sembra che non finisca mai».
Decine e decine di stabilimenti, tutti i centri produttivi della bassa modenese, sono stati gravemente danneggiati. Alcune fabbriche avevano riaperto da poche ore. E ci sono persone che raccontano di pressioni subite da alcuni operai per tornare al lavoro, pena il licenziamento (a San Felice sul Panaro, dove sono morti tre operai della Meta). Sono voci, e nessuno sembra avere intenzione di speculare su questa o quella situazione. Se sarà  il caso, e sarebbe un dramma nel dramma, toccherà  alla magistratura occuparsi di Kumar, 27enne originario del Punjab: «Lo ha chiamato il proprietario e lui è tornato, perché non poteva perdere il posto», dicono gli amici.
Ma è nei piccoli paesi che si percepisce tutta la violenza del terremoto. Intere vie ridotte a macerie e chiuse alla circolazione, come a Cavezzo. Case diroccate o sbriciolate e il pericolo di fughe di gas che obbliga il comune ad improvvisare campi di assistenza. «Abbiamo bisogno di aiuto, la situazione è disastrosa, il centro storico è completamente andato», spiega il sindaco. Cavezzo, forse, è il paese più colpito, anche per la tragica conta dei morti: qui hanno perso la vita altre quattro persone, una in fabbrica, due in abitazioni private e un’altra in una bottega. Il Comune si è trasferito alla Cooperativa Il Giardino. E’ un bar. L’efficienza di questi piccoli centri ha dell’incredibile, nonostante l’assenza dello stato (le tende arriveranno solo oggi da L’Aquila) e altre «cose» che in questi giorni non hanno funzionato. «Aspettiamo ancora le tende – spiega Cristina Ferraguti, assessore alle attività  produttive – dalla settimana scorsa noi continuiamo a segnalare strutture danneggiate, il campanile continuava a sputare pietre, per questo abbiamo chiesto di lasciare anche le case ritenute agibili». Insomma, a Cavezzo – e anche altrove – sembra che si siano arrangiati da soli. Si aspettavano qualcosa di più, ma è quasi impossibile incrociare toni alterati. Alcuni cittadini alloggiano all’asilo nido, altri in un centro di accoglienza in una struttura sportiva e altri ancora fuori da palazzetto dello sport con auto e tende. Nessuno ha voglia di farsi accompagnare negli alberghi sull’appennino.
Anche nella piazza di Medolla, un bar con tre tavolini, il municipio e il teatrino, i funzionari del Comune sono al lavoro per fare la conta dei danni e dei bisogni. Sotto gli ombrelloni. Prendono nomi e cognomi di tutti coloro che chiedono aiuto. Calma ed efficienza lasciano sbalorditi. Anche troppo. «La zona più disastrata è in via Grandi – spiega il sindaco Filippo Molinari – e abbiamo dovuto sfollare tutta la via, le persone non si fidano più, questo terremoto è un’altra botta e nessuno vuole rientrare nelle case». Molinari è arrabbiato. «La laboriosità  e il senso del dovere di questi posti per noi sta diventando una beffa – spiega – non ci lamentiamo e ci siamo già  messi al lavoro ma mi sembra che dopo dieci giorni le istituzioni si siano svegliate solo adesso». In un parchetto di fronte è stato montato un campo della protezione civile del Molise, sono 250 posti letto ma presto diventeranno 450. Attorno ci sono bambini che giocano e tre anziani in carrozzina che aspettano.
Mirandola, con il suo campanile diroccato sullo sfondo ripreso da decine di televisioni, è il set perfetto per tentare di «far vedere» il terremoto. Il centro storico è un cerchio, chi si avventura lo fa a suo rischio e pericolo. Il sisma ha fatto il deserto, sembra un paese fantasma. Tutto chiuso. Negozi. Case. Alcune sono cadute, altre lesionate. Gli sfollati sono quasi mille e il campo della protezione è della regione Piemonte. Laggiù in fondo c’è anche Mentana che sta trasmettendo in diretta. Fuori dal cerchio qualcuno passeggia, altri discutono, qualcuno ha già  montato la tenda. Una donna si allontana spingendo il passeggino.


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