Una sentenza da copione

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Le motivazioni dell’assoluzione in Cassazione di Gianni De Gennaro, attuale sottosegretario e plenipotenziario degli apparati di sicurezza, andrà  letta in ogni sua parte per coglierne appieno il senso giuridico. Le anticipazioni finora conosciute lasciano sconcertati. 
Perché i giudici scrivono che «non si è acquisita alcuna prova o indizio di un coinvolgimento decisionale di qualsiasi sorta nell’operazione Diaz»? E perché scrivono che la vicenda riguardante il portavoce Roberto Sgalla «si presenta destituita di ogni profilo di seria pertinenza con i fatti reato integranti la regiudicanda del processo Diaz, costituiti da condotte di calunnia, lesioni volontarie, falsità  ideologiche ed altri reati»? 
Il dottor De Gennaro non era imputato nel processo Diaz, ma per l’accusa di induzione alla falsa testimonianza dell’ex questore Colucci, che nel 2007, testimoniando in tribunale, aveva cambiato versione su chi avesse indicato di chiamare sulla scena della perquisizione il dottor Sgalla. Il Colucci del 2001 e degli anni seguenti aveva indicato come responsabile proprio De Gennaro; il Colucci ascoltato al processo ha sostenuto di avere preso personalmente l’iniziativa. 
È un fatto che De Gennaro e Colucci si sono incontrati a Roma alla vigilia della deposizione di quest’ultimo e che il primo ha giustificato un incontro quanto meno inopportuno, dicendo che si trattava di un’azione tesa a trovare «la consonanza per la ricerca della verità ». Un concetto quanto meno singolare e che il pm Enrico Zucca ha definito «un atto di arroganza e onnipotenza». Colucci è attualmente sotto processo per falsa testimonianza. 
Leggeremo le carte e forse capiremo meglio la logica seguita dalla Corte, ma la sensazione è che un primo elemento di valutazione riguardi proprio il ruolo e i limiti d’intervento della Cassazione, che si è spinta anche in valutazioni sulle «inqualificabili violenze» compiute dalla polizia alla Diaz. Le violenze furono senz’altro «inqualificabili», ma riguardano, come è noto, un altro processo, finito in secondo grado con 25 condanne e del quale la Cassazione si occuperà  dall’11 giugno con una serie di udienze che calamiteranno l’attenzione del potere politico, poiché gli imputati compongono il gotha della polizia italiana.
Date queste premesse è forte la tentazione di usare un’espressione abusata, ma assai ricorrente nella storia giudiziaria italiana, a proposito di «sentenze già  scritte». In ogni caso non dobbiamo dimenticare che la questione giudiziaria è solo una parte della complessiva vicenda Diaz (e Genova G8) e che le sentenze non cambiano il quadro storico dei fatti. Nel 2001 vi fu una sospensione dello stato di diritto e fu scritta una delle pagine più nere delle forze dell’ordine italiane. Chi le guidava allora è oggi sottosegretario e al vertice degli apparati; i dirigenti coinvolti nella perquisizione-mattanza alla Diaz, pur imputati e condannati in appello, sono sempre ai posti di comando, con ruoli ancora più importanti rispetto al 2001. Questa è la sostanza del discorso. Se la sicurezza, affidata al sottosegretario De Gennaro, che tutelerà  i cittadini italiani nel prossimo futuro è quella che abbiamo sperimentato la notte del 21 luglio a Genova c’e da preoccuparsi. E non poco.


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