“Era un atto anticostituzionale sappiamo essere severi da soli”
ROMA – «Lo vieta la Costituzione». E quindi, se si cambiasse la giustizia disciplinare per legge ordinaria, ciò «sarebbe incostituzionale». Non ha dubbi Rodolfo Maria Sabelli, il presidente dell’Anm, nel valutare il tentato blitz di Palazzo Chigi già rientrato. Pur soddisfatto per le rassicurazioni di Monti, Sabelli insiste: «Comunque non si poteva fare».
Una giustizia disciplinare di fatto nelle mani della politica. Che succederebbe se dovesse accadere davvero?
«Allo stato è un periodo ipotetico dell’irrealtà . C’è un articolo della Costituzione, il 104, che fissa la composizione del Csm, formato da un terzo di laici e da due terzi di togati. La sezione disciplinare, come ha confermato anche la Consulta, deve rispecchiare questi equilibri».
C’è una logica in questa scelta?
«La Costituzione lo stabilisce proprio per garantire un assetto della giustizia disciplinare che assicuri l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione, consentendo al tempo stesso la partecipazione di personalità qualificate, pur se estranee alla magistratura».
In alcun modo questa regola può essere travalicata?
«Un intervento per legge ordinaria non è assolutamente possibile. Il fatto che il Costituente si sia espresso con chiarezza sulla questione fa capire quanto essa sia rilevante proprio perché attiene all’assetto costituzionale della magistratura».
Palazzo Chigi fa marcia indietro, ma le carte sono lì a dimostrare che il tentativo c’è stato. Se in effetti i laici dovessero avere la maggioranza, quali rischi correrebbero i giudici?
«La risposta è già nella domanda. Siamo contrari a una modifica del rapporto perché ciò comporterebbe un maggior peso della componente laica. Per giudicare con cognizione di causa e con equilibrio bisogna conoscere come funzionano gli uffici giudiziari, avere esperienza dei problemi, del carico di lavoro, delle controversie interpretative».
Solo i giudici possono processare i giudici?
«Occorre che chi esercita la giurisdizione abbia conoscenza pratica e concreta di che cosa avviene nel nostro lavoro. Del resto ci sono altre professioni, per esempio quelle di avvocato e di giornalista, per cui la giustizia disciplinare viene esercitata dagli appartenenti alla stessa categoria».
I detrattori la considerano «giustizia domestica» ed è quella che oggi esercita il Csm, colleghi che alla fine non puniscono i colleghi. C’è del vero secondo lei?
«Si parla di una giustizia che non funziona o che funziona male, ma è un luogo comune, smentito soprattutto dalle statistiche più recenti. Basta esaminare il numero dei provvedimenti disciplinari e quello delle sentenze di condanna negli ultimi dieci anni. Cito il rapporto della commissione europea per l’efficienza della giustizia, che dal ‘99 al 2008 indica oltre 260 condanne disciplinari».
Questo progetto e l’emendamento Pini sulla responsabilità civile dei giudici: anche se Berlusconi è ormai un ex premier, lei vede una continuità nel tentativo di legare le mani alle toghe?
«Veniamo da una fase molto difficile nei rapporti con la politica e quindi non si può pensare di girare pagina all’improvviso. Ma il fatto stesso che Monti prenda posizione citando anche il parere negativo del ministro della Giustizia Severino è il segnale di un approccio sereno e tecnico alla materia disciplinare».
C’è allarme sulla responsabilità ?
«La nostra attenzione resta alta. Il punto non è rifiutare il principio di una nostra responsabilità , che peraltro già esiste, ma avere garanzia di una disciplina che tenga conto della particolarità della nostra funzione e che garantisca l’indipendenza della giurisdizione».
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