Fecondazione eterologa, resta il divieto
ROMA – Quello della Consulta è un “arrivederci”. La Corte Costituzionale, che ha esaminato il divieto di fecondazione eterologa stabilito dalla legge 40, non scrive la parola fine. Invita i giudici che avevano sollevato la questione (Firenze, Catania e Milano) a considerare la sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo che l’anno scorso ha ritenuto legittimo il divieto alla fecondazione con gameti estranei alla coppia nei paesi comunitari. Un divieto che secondo i magistrati europei non viola l’articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo sul rispetto della vita privata e familiare. «La Consulta prende tempo – dice Marilisa D’Amico, avvocato dei ricorrenti e docente di diritto costituzionale a Milano – Questa non è una bocciatura. Certamente i giudici di merito risolleveranno la questione e torneranno alla Corte Costituzionale. Di Milano e di Catania lo so già ».
La chiave di volta della vicenda giuridica è la Corte di Strasburgo. Proprio sulla scia di una prima pronuncia nell’aprile del 2010, che dava ragione a due coppie austriache per le quali l’unico modo di avere figli era l’eterologa in vitro, alla Consulta sono arrivati ben tre ricorsi. Uno emanato dal tribunale di Firenze nel settembre 2010, con cui per la prima volta in Italia un giudice ordinario ha ritenuto costituzionalmente illegittimo il divieto di procreazione eterologa per una coppia in cui l’uomo non ha spermatozoi a causa di terapie fatte durante l’adolescenza. Poi la questione sollevata dal tribunale di Catania nell’ottobre 2010 sul caso di una moglie infertile per menopausa precoce, infine quella del febbraio 2011 dei magistrati di Milano, relativa a una coppia in cui l’uomo soffre di infertilità totale e irreversibile. Con le ordinanze, i tre tribunali chiedevano alla Consulta di accertare se la legge 40 violasse gli articoli 2,3,31,32 e 27 della Costitutzione e gli articoli 8 e 14 della Convenzione dei diritti dell’uomo. I dubbi di legittimità riguardano la violazione del principio di uguaglianza, della tutela della famiglia e del diritto alla salute.
Tuttavia nel novembre 2011 succede ciò che nessuno si aspetta, su ricorso dell’Austria la Corte di Strasburgo si pronuncia in secondo grado, ribaltando il proprio giudizio. La Grande Chambre sottolinea che viste le questioni etiche sollevate ma anche la rapidità dei progressi scientifici, ogni paese ha un ampio margine di manovra nel normare la materia, e dunque la legge austriaca non lede di per sé i diritti delle due coppie. «Una decisione parametrata agli Stati – dice in udienza l’avvocato Giandomenico Caiazza – il no all’eterologa resta discriminatorio e viola l’articolo tre della Costituzione». Infatti la Consulta quel «no» non l’ha pronunciato. E in udienza non lo ha fatto nemmeno l’avvocato dello Stato, lì per contrastare la battaglia. Gabriella Palmieri ha sostenuto che sull’eterologa «si deve esprimere il legislatore non l’Alta Corte». E ha voluto precisare che la sua è stata una «difesa tecnico-giuridica», sottolineando «la grande sensibilità delle situazioni che hanno originato i ricorsi».
Il divieto resta in vigore. «E L’Italia sola con la Lituania e la Turchia», sorride l’avvocato Caiazza. «A meno che non vogliano contraddirsi – dice Gianni Baldini, legale della coppia di Milano – i tre tribunali non potranno che ribadire la necessità di un intervento della Corte Costituzionale». Stavolta però i ricorsi dei giudici dovranno tener la voce, in punto di diritto, della Grande Chambre.
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