Prestiti facili delle banche e deficit delle autonomie le due mine vaganti che possono affondare Madrid
BARCELLONA – In questi giorni, con lo spread oscillante fra i 480 e i 500 punti, il capo del governo spagnolo si domanda perché i mercati mostrino pochissima fiducia sulla tenuta della Spagna quando, dice Rajoy, «abbiamo fatto bene i compiti che ci ha chiesto Bruxelles». Dal suo arrivo alla Moncloa, con la trionfale vittoria del partito popolare nelle elezioni del 20 novembre 2011, il leader del centrodestra ha mantenuto una linea diretta con Angela Merkel e ha sposato in pieno le direttive sul rigore e il risanamento dei conti pubblici. Ha varato una riforma del mercato del lavoro che rende facilissimo e molto economico per le imprese i licenziamenti; tagliato i bilanci di Sanità e Istruzione; e promesso una riduzione del rapporto deficit/Pil: dall’8,9% del 2011, al 6,4% nel 2012, al 3% entro la fine del 2013. Mariano Rajoy immagina uno Stato leggerissimo e prevede di tagliare le spese per l’Amministrazione pubblica dal 43,6% del Pil (2011) al 37,7% entro il 2015 con un risparmio di 32 miliardi. Un’operazione massiccia che riporterebbe la spesa dello Stato ai livelli precedenti all’ingresso della Spagna in Europa. Il suo problema però sembra essere proprio quello della credibilità del progetto. Intanto perché la Spagna è ancora in recessione (-0,3% ad aprile) e i disoccupati aumentano (5,4 milioni, 25% della forza lavoro) e aumenteranno ancora. Poi per altre due questioni centrali che sono alla base della crisi: i prestiti allegri diventati crediti non esigibili (o “attivi tossici”) delle banche e la difficoltà del governo centrale di tenere a freno i bilanci delle autonomie regionali che in Spagna hanno competenze molto ampie. Su quest’ultimo fronte potrebbe apparire paradossale il fatto che tre regioni abbiano nel 2011 camuffato i loro deficit comunicando al governo centrale dati aggiustati in positivo. E’ successo nella Comunità autonoma di Madrid dove comanda Esperanza Aguirre, grande “baronessa” della destra spagnola; in Castilla-Leon, altra regione in mano ai Popolari; e a Valenzia. Venerdì sera, a mercati chiusi, Madrid ha rivelato che il suo deficit 2011 era il doppio (non 1,3% ma 2,2%). E il ricalcolo delle tre regioni ha elevato quello della Spagna dall’8,5 all’8,9% sul Pil nel 2011.
Difficoltà di affidamento oltre che di bilancio hanno anche le banche. Qual è infatti il vero volume dei cosiddetti “attivi tossici”? Quando Hollande, dopo il picco dello spread spagnolo a 507 punti mercoledì scorso e prima del G8 di Camp David, s’è detto favorevole ad un piano di salvataggio europeo per le banche iberiche è stato aggredito da Rajoy: «Non abbiamo bisogno di nulla, ce la facciamo da soli». Peccato che il reale stato delle finanze bancarie non si conosca tanto che il governo ha affidato a due istituti di controllo indipendenti, uno americano e l’altro tedesco, una verifica. I calcoli noti sono questi: nei bilanci degli istituti spagnoli ci sono almeno 188 miliardi di prestiti a società di costruzione o promozione immobiliare che sono carta straccia. Non torneranno mai indietro semplicemente perché i costruttori non sono riusciti a vendere le case che oggi in meno di due anni hanno perso almeno due terzi del loro valore. Poi ci sono altri 128 miliardi di prestiti al mattone considerati “sani”. Con molti dubbi. Ma quello che veramente spaventa e viene segnalato come «un formidabile fattore di rischio» sono i 656 miliardi di euro in ipoteche sui mutui concessi ai privati. Possibile, ci si chiede, che con recessione e disoccupazione, tutti paghino il mutuo per la casa? Per ora le banche ammettono un coefficiente di morosità irrisorio, il 2,8%. Sono tutti questi “fattori di rischio” che convincono un osservatore della crisi come il premio Nobel dell’Economia Paul Krugman a vaticinare il rischio “Argentina”, il blocco dei conti correnti. «Impossibile», risponde il ministro delle Finanze Cristobà l Montoro. Infine il debito. Negli ultimi cinque mesi gli investitori stranieri hanno venduto 60 miliardi di bonos del debito spagnolo, il 10% del totale, finito alle banche spagnole grazie ai fondi Bce. Anche questo è un elemento di rischio. Le banche aiutano lo Stato sperando che poi lo Stato aiuterà le banche: ma è come se due persone che stanno affogando sperassero di galleggiare legandosi insieme.
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