“Nella scuola la chiave dell’orrore va cercata tra le sue mura la follia che ha scatenato il lupo”

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ROMA – Ora che un filo è stato tirato e su quel filo si è deciso di scommettere con convinzione, è cominciato un altro lavoro. Entrare nella testa del lupo. E dalla notte di sabato questo è affare dei poliziotti dello Sco di Vincenzo Nicolì, dei carabinieri del Ros e del Reparto crimini violenti di Vincenzo Molinese, della squadra mobile e del nucleo provinciale dell’Arma di Brindisi. Perché afferrare il movente dello scempio significherà  trovarne più rapidamente il responsabile.
«Una cosa si può dire con ragionevole certezza – spiega uno degli investigatori di questo gruppo interforze – La chiave dell’orrore è la scuola. Quelle mura custodiscono il movente che ha scatenato la violenza di chi stiamo cercando. La molla che lo ha reso furioso». Si chiama “profiling”. E’ un esercizio di induzione, che muove dal dato di fatto, dal dettaglio rivelatore, per approssimare con crescente precisione la dimensione psicologica dell’assassino, il suo “percorso interiore”. «Che in questo caso – aggiunge la fonte investigativa – può aver mosso da due premesse. Quella simbolica. O quella della vendetta». Detta altrimenti, l’Istituto “Francesca Morvillo Falcone” può essere in se, per il nome che porta, la ragione della furia, del risentimento solipsistico di chi ha colpito. «Una monade ossessionata dallo Stato, dalla legalità , in guerra solitaria con i suoi simboli riconoscibili». O, al contrario, quel nome e la simbologia che evoca non hanno alcuna rilevanza ed è qualcosa che è accaduto nella scuola, magari con le ragazze che la frequentano, ad essersi trasformato nell’elemento scatenante della volontà  omicida.
E tuttavia, i “cacciatori”, in queste ore, lavorano a qualcosa di più di un’ipotesi generale. Sono almeno quattro i possibili profili che sono stati cuciti sui dati, «psicologicamente rilevanti», documentati dalle immagini delle telecamere che hanno ripreso l’assassino e dai primi esami scientifici sulla composizione dell’ordigno. Il sesso: maschile. La sua età : non meno di 40, non oltre i 55 anni. Una competenza non necessariamente raffinata degli esplosivi, come dimostra la decisione di utilizzare delle bombole del gas. Una qualche dimestichezza con l’assemblaggio di un circuito elettrico non esattamente banale, come un innesco volumetrico. E ancora: la mancanza di qualsiasi conoscenza delle routine di un’indagine di polizia, come dimostra la leggerezza di farsi notare in piena notte ad armeggiare con un bidoncino dei rifiuti che deve coprire l’ordigno collocato sul muretto della scuola, e l’altrettanto decisiva ignoranza di non immaginare che in quel tratto di strada, non lontano da banche e tribunale, la presenza di telecamere di sorveglianza è scontata.
I quattro profili abbozzati in queste ore da polizia e carabinieri sono la proiezione di altrettante possibili dimensioni emotive dell’assassino. Due hanno a che vedere con le ragazze che frequentavano la scuola. Due con il corpo docente e non dell’Istituto. Spiega una fonte investigativa: «Se partiamo dall’assunto o dovesse dimostrarsi certo che l’intenzione dell’assassino era quella di colpire per uccidere o mutilare le ragazze, o addirittura proprio quelle ragazze appena scese dal pullman, abbiamo a che fare con un uomo cui quelle giovani studentesse hanno provocato o provocavano una sofferenza psicologica intollerabile. Che, in qualche modo, gli ricordavano una ferita. E poiché parliamo di un uomo di mezza età , le possibilità  non sono poi molte. Potremmo avere a che fare con un maschio solo, sessualmente rifiutato, o addirittura umiliato. O, al contrario, con un padre la cui figlia è stata vittima di violenze psicologiche o di una qualche forma di esclusione all’interno della scuola da parte delle sue coetanee. Bullismo, intimidazione, minacce, irrisione».
Ma, appunto, le ragazze della scuola potrebbero anche non essere il demone che si è mangiato la testa dell’assassino. Soprattutto se si dovesse accertare che, per un qualche motivo (a cominciare da un errore grossolano nel calcolo della potenza dell’ordigno), siano diventate vittime di un gesto che non doveva avere le stimmate della strage. «In questo caso, la voglia di vendetta di chi stiamo cercando – osserva ancora uno degli investigatori del team interforze – potrebbe bene avere a che fare con il profilo di chi lavora o ha lavorato nella scuola. Per questo, stiamo accertando quale personale docente, di ruolo e soprattutto precario, sia passato nel tempo attraverso l’Istituto. Se e chi ne sia stato allontanato per ragioni capaci di scatenare rabbia, disperazione. Nei confronti della scuola, di chi ancora ci lavora, delle famiglie delle ragazze che la frequentano. E questo vale per gli insegnanti, come per il personale di servizio». E’ un lavoro che prenderà  del tempo. E che i “cacciatori” promettono non sarà  poi così lungo. Soprattutto se il “lupo” dovesse aver commesso, come è probabile, altri errori.


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