Torna la strategia eversiva di Cosa nostra? Gli inquirenti non escludono nessuna ipotesi

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Atipico, senza precedenti, una sorta di rebus difficile da decifrare. «Atto terroristico», spiega il procuratore nazionale antimafia, seguito a ruota dal premier Monti, che parla di «Eversione». Non necessariamente politica, anzi, forse il riemergere di una strategia colombiana della criminalità  organizzata. Con pochi, pochissimi punti fermi, con un obiettivo, in fondo, non ancora chiaro. «Guardando quello che è accaduto – spiega a il manifesto un investigatore – si ha la percezione di qualcuno che ha voluto mostrare i muscoli. Ma sono tante le cose che non tornano in questa storia». Non tornano i conti analizzando il tipo di ordigno esploso, apparentemente artigianale, ma di cui è difficile capire anche il tipo di innesco utilizzato. Indecifrabile appare l’obiettivo, che tenderebbe a far prevalere la pista della mafia – la scuola intestata alla moglie di Falcone, a pochi giorni dal ventennale della strage di Capaci, poche ore prima del passaggio della carovana antimafia – anche se, poi, questa poco si concilia con l’utilizzo delle bombole di Gpl come esplosivo. Disumano ed inedito il target, le vittime scelte dagli attentatori, un gruppo di ragazze sulla soglia di una scuola: mafia e terrorismo in fondo hanno sempre avuto la necessità  del consenso e mai come in questo caso era previdibile una reazione unanime e avversa. L’istinto porta la mente alla stagione del terrore del 1992-1993. Anche allora, quando cosa nostra iniziò ad attaccare il patrimonio storico con la strage di via dei Georgofili a Firenze, si parlò di attentato atipico. Eravamo in una fase di transizione, come oggi, con una lira sotto attacco da parte degli speculatori internazionali ed un governo “tecnico” chiamato a sostituire la politica, aprendo il varco al ventennio berlusconiano. Tante suggestioni, o coincidenze, che portano a pensare alle «menti raffinatissime» citate da Giovanni Falcone subito dopo il fallito attentato dell’Addaura. Tre anni dopo cosa nostra avviò l’infame trattativa con parti dello stato, in una fase mai chiarita fino in fondo. Brindisi è senza dubbio la capitale della sacra corona unita, la mafia del salento. Un’organizzazione frammentata oggi, con i principali capobastone agli arresti, che non ha mai creato una vera e propria cupola, interessata a mantenere il silenzio sul proprio territorio e a non avere sguardi indiscreti sugli affari ormai radicati con l’area balcanica. La strage sfiorata di ieri mattina non sembra però appartenere al bagaglio criminale della mafia del Salento: «La scelta stragista la sacra corona non l’ha mai compiuta», commentava a caldo ieri pomeriggio Alberto Maritati, oggi commissario antimafia, con una lunga esperienza di magistrato in Puglia. Un’analisi, questa, che trova un riscontro anche nella storia giudiziaria della stagione stragista del 1992-1993, riportata nell’ordinanza di archiviazione dell’inchiesta “sistemi criminali” della Dda di Palermo. Secondo la ricostruzione dei magistrati siciliani nel 1991 il faccendiere con stretti legami con l’intelligence italiana Aldo Anghessa avrebbe chiesto all’epoca la partecipazione della sacra corona alla stagione degli attentati. Una proposta che – si legge negli interrogatori di un esponente della famiglia Modeo, storico clan pugliese – fu poi respinta: «Ha dichiarato di non aver aderito alla proposta, tanto che fece sapere al fratello che bisognava lasciar perdere l’Anghessa». Dall’epoca, però, molto è cambiato nella geografia criminale della Puglia, con l’emergere di una nuova generazione più crudele ed agguerrita e l’espandersi del controllo della ‘ndrangheta in questa zona del sud Italia. Ieri tra le stesse forze dell’ordine e tra i magistrati c’era un misto di prudenza e sconcerto. «Di certo questo episodio è assolutamente inedito per la criminalità  organizzata», ragionava un investigatore di alto livello. Difficile trovare precedenti, soprattutto per il tipo di obiettivo. Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso di certezza ne aveva una sola, dopo la riunione negli uffici della Procura di Brindisi: «Qualunque sia la matrice dell’attentato, si tratta di un atto terroristico nel senso che è diretto a colpire persone innocenti e in maniera indiscriminata». Non politico, spiega Grasso: «Terroristico nel senso che ha preso di mira persone innocenti, non nel senso della matrice».


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