L’alta moda al Louvre e agli Uffizi ma sulle passerelle scoppia la polemica

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L’era della incompatibilità  «ideologica» è finita, arte e moda, ormai è noto, sono unite dal gene della creatività . E però: davvero cultura e fashion system sono tanto affini da giustificare un defilé dentro Louvre o Uffizi? È quello che succederà  fra poche settimane a Parigi e a Firenze, come hanno annunciato quasi in contemporanea due maison fiorentine, Ferragamo e Stefano Ricci, la storica griffe delle dive, e lo stilista fornitore di camicie per Mandela e Obama. In tutti e due i casi i grandi musei si apriranno alle sfilate per la prima volta: il Louvre offrendo a Ferragamo il Peristilio Denon (il defilè di Louis Vuitton, a marzo, si è tenuto nel più decentrato Carrée du Louvre), loggiato all’aperto che fa parte integrante del museo, e dove il 12 giugno il direttore creativo Massimiliano Giorgetti presenterà  al collezione Resort 2012. Gli Uffizi aprendo a Stefano Ricci (18 giugno) il Corridoio di ponente, pieno di statue romane acquistate da Cosimo III. 
Non si conosce, al momento, l’entità  esatta della contropartita ottenuta dei due colossi museali. Di Ferragamo, però, si sa che ha sponsorizzato il restauro della Sant’Anna di Leonardo, capolavoro ora esposto in una mostra anche questa a carico della casa fiorentina, di Ricci che pagherà  la nuova illuminazione della Loggia dei Lanzi, in piazza Signoria, più un «canone» che la soprintendente del Polo museale fiorentino, Cristina Acidini, per ora non rivela. «Certo, non sono cose da fare tutti i giorni», ha detto a proposito dell’inedita concessione degli Uffizi, «ma episodicamente si può», Ricci «è un marchio internazionale che fa onore a Firenze», e i beni culturali, come è noto, non hanno soldi. Eppure, non tutti sono d’accordo. A cominciare dallo stesso direttore degli Uffizi, Antonio Natali, assente dalla conferenza stampa di presentazione della sfilata, trincerato nel silenzio, e che, fanno capire i suoi collaboratori, «ha tutta un’altra idea di come si debba valorizzare un museo». Dello stesso parere lo storico dell’arte Tomaso Montanari, noto per le sue battaglie contro il «marketing della cultura»: «Gli Uffizi sono il luogo in cui, attraverso un vaglio rigoroso, si è depositata la coscienza storica dell’arte italiana» dice, «farci una sfilata è una lesione morale a valori culturali non appaltabili a nessun privato». «Mantenere il patrimonio artistico è un dovere di tutti» obietta Ferruccio Ferragamo, «del resto mio padre è venuto a Firenze perché si sentiva ispirato dalla sua cultura, perché stupirsi che l’arte alimenti la creatività  in ogni settore?». La pensa così anche Annamaria Testa, consulente di comunicazione per le imprese: «La cultura» osserva «è un fenomeno vivo, e il modo di guardare Botticelli nell’era di internet non è lo stesso di cinquecento anni fa». Nell’ottica di oggi, insomma, «non esistono steccati, ma fertili integrazioni», e del resto «cos’è stato il mecenatismo storico se non il tributo di imprenditori creativi e consapevoli alla società  in cui vivevano?». «Altro che mercanti nel tempio» sottolinea Patrizia Asproni, presidente di Confcultura (Confindustria), «la moda è l’industria che più ci fa conoscere e apprezzare all’estero, e unire cultura, moda, e privati in generale, deve diventare una sinergia virtuosa per far crescere il paese, non solo un escamotage da crisi economica». E non si scandalizza affatto, «anzi», il filosofo Sergio Givone: «Del resto, o l’arte, nella percezione comune, ha un posto importante, e allora non sarà  uno stilista ad offenderla, oppure, se davvero la moda può sopraffarla, siamo già  spacciati, e non sarà  una sfilata a peggiorare le cose».


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