La malattia italiana nasce prima dell’euro

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I numeri della Germania e dell’Italia, invece, si discostano dalle previsioni: la prima, con una crescita del +0,5, ha sorpreso positivamente, la seconda, con -0,8, negativamente. L’Italia, unica tra i grandi Paesi della eurozona (inclusa la Spagna), mostra tre trimestri consecutivi di crescita negativa; la Germania, che aveva avuto crescita negativa nel quarto trimestre 2011, ritorna su territorio positivo e inizia il 2012 con una solida performance.
Il profilo trimestrale del Pil, si sa, è molto variabile, quindi non è saggio leggere troppe cose basandosi soltanto su uno o due trimestri di dati. Nell’esaminare la differenza tra i dati tedeschi e italiani voglio andare quindi più indietro nel tempo e proporre due finestre di osservazione. 
Prima finestra, gli ultimi sei anni. La Figura 1, quadrante di sotto, mostra che il tasso di crescita del Pil dei due Paesi si muove in modo molto sincronizzato, ma in Italia, sia prima sia dopo la recessione del 2008, è in media più basso di circa due punti. Non è così per l’export. Il quadrante superiore della stessa figura mostra come il tasso di crescita delle esportazioni nei due Paesi sia praticamente identico. 
Se ne deduce che, a differenza di quanto si sente spesso dire, lo scarto di crescita del Pil tra Italia e Germania va soprattutto attribuito alla domanda interna, cioè consumo, investimento e spesa pubblica al netto delle tasse. In parte questo è certamente legato alle politiche di austerità , ma il tasso di crescita del Pil in Italia era più basso di quello tedesco anche prima della crisi e quindi le cause devono essere più complesse.
Prendiamo ora la seconda finestra, quella degli ultimi quarant’anni e esaminiamo il livello del Pil pro capite. La crescita è un termine astratto, ma se la crescita stagna per molti anni questo finisce per avere un effetto sul livello del reddito, cioè su quanto i cittadini si mettono in tasca. 
La figura 2 mostra il Pil pro capite di Germania, Italia, oltre alla media dei primi dodici Paesi entrati nella zona euro meno l’Italia. E quello degli Stati Uniti. 
Negli anni Settanta Germania, Italia e la media dei dodici avevano livelli di reddito simili tra loro ma erano Paesi più poveri degli Stati Uniti, con uno scarto tra il 25 e il 35%. Fino a circa il 1995 la Germania e Italia si sono poi mosse insieme, ma da quel punto, mentre la media dell’eurozona e della Germania continuano nella traiettoria storica, l’Italia si discosta. La crescita diminuisce e questo ha un effetto sul livello del reddito degli italiani. Da qui nasce il grande rallentamento italiano: la moneta unica, creata nel 1999, non lo ha né arrestato né peggiorato. Con questa finestra più ampia si vede che in Italia la bassa crescita viene da lontano ed è questo che ci rende più poveri in modo persistente.
Ma c’è un’altra lezione da trarre da grafico 2. Nonostante i tanto declamati successi della Germania, il gap tra il reddito pro capite di Germania e Stati Uniti rimane stabile. Anche lasciando fuori la crisi recente i cittadini tedeschi e europei sono più poveri in media del 25% rispetto a quelli americani e questa differenza è molto simile a quella che si aveva quaranta o dieci anni fa. Ancora una volta né l’euro né il mercato unico hanno provocato visibili cambiamenti. 
Ci sono tre lezioni da trarre da questi fatti. Primo, le deludenti performance recenti dell’Italia rispetto alla Germania non sono dovute al maggiore successo nell’export di quest’ultima ma a una domanda interna che in Italia è particolarmente depressa. Da qui l’importanza di pensare a politiche che la sostengano. Secondo, la bassa crescita del nostro Paese è un problema tutto italiano che nasce quindici anni fa e che poco ha a che fare con la crisi dell’euro. Questo problema va risolto affrontandone le sue cause strutturali. Terzo, l’Europa nel suo insieme, compresa la più virtuosa delle sue figlie, la Germania, è da quarant’anni ad un livello di reddito molto più basso di quello degli Stati Uniti. La sopravvivenza dell’euro e dell’Unione Europea dipenderà  dal sapere affrontare con coraggio le cause di questa differenza e dalla capacità  di analisi del perché il mercato unico e la unione monetaria abbiano largamente deluso le loro promesse iniziali. Forse questo sarà  il momento in cui si smetterà  di dare colpa agli speculatori e si comincerà  a guardare alle vere cause dei nostri insuccessi.


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