“Né applausi né feste” il presidente Moretti detta le sue regole

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CANNES – Standing ovation alla presentazione del primo film per il presidente della giuria Nanni Moretti. «Ringrazio la Francia perché è un paese che a differenza di altri dà  importanza al cinema». In mattinata, presentandosi alla stampa, insieme ai “suoi” giurati (Ewan McGregor, Emmanuelle Devos, Diane Kruger, Alexander Payne, Andrea Arnold, Jean-Paul Gaultier, Raoul Peck e Hiam Abbass) aveva detto a proposito del proprio incarico: «Sfortunatamente sono democratico. Sarò una specie di capoclasse, uno dei nove: è una fortuna che i poteri del presidente di giuria siano limitati», assicura. «Sono felice che i colleghi siano di buon umore e soprattutto siano arrivati a Cannes senza pregiudizi negativi o positivi rispetto ai film». L’unica regola esternata da Moretti all’incontro è «che dovremo incontrarci spesso, ogni due giorni per i quattro film visti, così da dedicare a tutti i film lo stesso rispetto e la stessa attenzione». 
Nei giorni scorsi Moretti ha monopolizzato la stampa internazionale, specie quella francese, che ha dissertato sui suoi gusti e sul suo temperamento deciso sulla scelta dei premi. Al quotidiano Libération aveva affidato regole più categoriche di quelle espresse in conferenza: un buon giurato non applaude né prima né dopo perché è sotto osservazione e ogni gesto viene interpretato, vede il film dall’inizio alla fine, partecipa a tutte le riunioni e non va alle feste delle opere in concorso. Ricordando di un anno «in cui i giurati chiedevano biglietti per la festa di un film indiano» (probabilmente Monsoon wedding di Mira Nair, Leone d’oro a Venezia nel 2001), Moretti ha poi aggiunto che quest’anno sul quarto comandamento sorvolerà . Torna sulla dichiarazione (ancora rilasciata a una testata francese) che dai film s’aspetta di essere sorpreso, evitando il déjà  vu: «Intendevo dire che a volte abbiamo l’impressione di vedere film che abbiamo visto cento volte» spiega «ma queste sono solo parole, parole, parole, che si dicono prima del festival, poi ci saranno i ventidue film e le nostre diverse sensibilità  a confronto». 
A proposito di parole, l’unico cruccio di Moretti sull’incarico da presidente della giuria riguarda proprio le esternazioni: «È venuto meno il tabù della riservatezza, quindici anni fa ero in giuria e c’era l’obbligo del silenzio, ora dopo la cerimonia finale c’è la conferenza stampa della giuria: forse diremo solo cose diplomatiche e banali, o forse no». 
Ha qualcosa da dire la giurata Andrea Arnold, interpellata sulla polemica innescata da un gruppo di femministe francesi sull’assenza di registe donne in concorso al Festival. «Dispiace ma non sorprende l’assenza di autrici, riflette un problema globale più che un festival specifico – ha detto la regista di Fish Tank e Red Road – Certamente io non vorrei essere chiamata in concorso solo perché donna, come un atto di carità . Fa arrabbiare che ci siano poche donne registe, perché le donne sono la metà  della popolazione e hanno voci e cose da dire sulla vita e il mondo che forse sarebbe utile per tutti ascoltare». La britannica Arnold ha poi scherzosamente polemizzato con il moderatore che, introducendo la giuria, ha presentato prima le donne e non i membri in ordine alfabetico: «Signora, sono francese», è stata la risposta. 
Più rilassati gli altri giurati, il più felice è lo stilista Jean-Paul Gaultier, che ha firmato i costumi di alcuni film di Pedro Almodovar, si considera «uno spettatore medio che spera di essere trasportato dall’emozione», e cita tra le opere predilette: «I film di Antonioni e il Rocky Horror Picture Show».


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