IL PICCOLO PROFETA

Loading

NEW YORK – Vincendo la sua ritrosia, Don DeLillo ha deciso di andare al Festival di Cannes per assistere alla prima mondiale di Cosmopolis, l’adattamento del suo romanzo diretto da David Cronenberg. Non è la prima volta che un testo di DeLillo viene portato sullo schermo, ma in questo caso a farlo è un regista di culto, che in pochi avevano immaginato potesse essere interessato al mondo dello scrittore. Ma Cronenberg ha detto: «La dimensione profetica del libro, scritto nel 2001, è impressionante: il movimento Occupy Wall Street è nato mentre giravamo». DeLillo, 76 anni, ama il cinema con passione e curiosità  intellettuale: «Il cinema è un’arte con la quale è necessario confrontarsi senza supponenza» racconta. «È importante essere consapevoli del fatto che ci sono cose che possono trovare la propria compiutezza soltanto sullo schermo. Non appartengo alla categoria di scrittori che considera la letteratura superiore».
Può farmi degli esempi di immagini o scene che il cinema racconta meglio della letteratura?
«Mi viene in mente l’immagine di un uomo a cavallo con un orizzonte sconfinato: penso a John Wayne nei film di John Ford. Credo sia qualcosa che appartenga in primo luogo al cinema e abbia un che di epico: l’uomo e il suo cavallo, spesso ripreso in silhouette, rappresentano un’icona della settima arte».
William Friedkin sostiene che altre scene prettamente cinematografiche sono quelle di inseguimento.
«Ha ragione: provate a immaginarle su un palco o alla radio. E pochi registi sanno realizzare un inseguimento come Friedkin».
Ha già  visto l’adattamento di Cosmopolis?
«Sì, e l’ho apprezzato molto: Cronenberg ha realizzato un film potente e senza compromessi. È abbastanza vicino al libro. Vi si trova molto anche della sua lingua, che è spesso quella un po’ esoterica dei mercati finanziari. Ma è un film: tra le parole scritte su carta e la trasposizione sullo schermo resta un abisso. Le due forme non sono paragonabili: uno scrittore lavora da solo, seduto in una stanza; un regista è attorniato da attori, la troupe tecnica, tonnellate di materiale».
Apprezza il cinema di Cronenberg?
«È un regista sempre interessante, e mi piace in particolare uno dei suoi ultimi film: La promessa dell’assassino. Tra i precedenti amo Inseparabili e Crash, che è perfino difficile da vedere, ma ti rimane dentro».
Ha lavorato alla sceneggiatura del film?
«No, affatto, non ne ho discusso, né sono mai andato sul set. Il film è stato girato a Toronto».
Cosa prova nel vedere Robert Pattinson, attore famoso per aver interpretato un vampiro, in una sua creazione letteraria?
«Il personaggio che tratteggia è molto vicino a quello del romanzo. Comunque non ho mai visto Twilight e quando scrivo un libro non ho in mente l’eventuale film, né chi possa interpretarlo. Mi importa che sia un bravo attore».
Ritiene che il cinema abbia influenzato la sua scrittura?
«Quando scrivo cerco di vedere in tre dimensioni, e tento di non avere mai uno stile da saggista, dove l’ambientazione è astratta e generalizzata. Mi piace pensare ai colori, alle forme, alle facce, agli oggetti. Anche se descrivo un uomo solo in una stanza penso ad esempio al colore del muro. E credo che questo approccio debba molto al cinema».
Quali sono i film che hanno segnato la sua vita?
«Il film che ha avuto l’effetto maggiore è recente: The Tree of Life di Terrence Malick. Si ha l’impressione che sia un film benedetto, per la bellezza che crea e per il profondo senso di empatia umana. Amo il modo in cui Malick riesce a fondere le scene cosmiche con quelle della famiglia, e le invenzioni libere, direi in versi, come quella in cui la madre volteggia e la macchina da presa la riprende dall’alto e danza con lei». 
Ci sono film del passato che hanno avuto uno stesso effetto?
«Certamente ha avuto su di me un grande impatto Fino all’ultimo respiro di Godard, e, in minor misura, Il Disprezzo. Ma penso anche a un grande film italiano: L’Avventura di Michelangelo Antonioni. Anche in questo caso mi sembrò diverso da tutti gli altri, per il ritmo lento, le magnifiche inquadrature, la storia che parte dalla scomparsa di una donna e Monica Vitti, fragile e bellissima. Pochi anni dopo mi fece un’impressione analoga Persona di Bergman. In quell’occasione ebbi l’impressione che nessuno avesse mai raccontato prima l’universo femminile in maniera tanto profonda e dolente».
Nessuno dei film che l’hanno segnata è hollywoodiano.
«Non ho alcun pregiudizio nei confronti di Hollywood, e tra i film che mi hanno segnato c’è Furore di John Ford, un esempio di grandissimo adattamento cinematografico».
Qual è il primo film che ha visto?
«I viaggi di Gulliver, un film d’animazione che mi portò a vedere mio padre. Ne ho un ricordo vago, dominato dallo stupore e la meraviglia per le immagini sullo schermo».
I film che ha citato sono dei classici: ne esiste qualcuno che tutti amano e che lei invece non apprezza?
«Le ho appena detto che importanza iconografica attribuisca all’immagine dell’uomo a cavallo, e ho citato John Ford. Tuttavia c’è un suo film, che è considerato da tutti un capolavoro, ma che a me sembra pieno di difetti: Sentieri selvaggi».
Godard ha scritto che nel gesto finale, in cui Wayne abbraccia Natalie Wood, c’è la potenza del cinema americano.
«Infatti quel gesto è meraviglioso, come l’inizio del film, con la famiglia che attende Wayne, che attraversa la Monument Valley e arriva a casa, armato. È l’epica prettamente cinematografica di cui parlavo prima. Ma il film ha vari momenti di debolezza. E non è l’unico classico che mi ha fatto questa impressione: ho rivisto Quarto Potere, e mi è sembrato pieno di momenti potenti, ma anche di sequenze meno felici. Non bisogna aver paura di affrontare criticamente opere considerate intoccabili».


Related Articles

Ma io diffido dell’amore universale

Loading

CARO direttore, nel dialogo confidenzialmente pubblico tra papa Francesco e Eugenio Scalfari, mi permetto di intervenire senza imbarazzo, anche se la mia povera opinione può risultare più di disturbo che di plauso. Di applausi tutti ne ricevono troppi. Mi dissuade dall’applaudire l’eccessiva reciproca tolleranza. Il Contrasto (Pólemos) non è “padre di tutte le cose”?

Ceti medi senza volto, tentativo di un ritratto

Loading

Non sono immagini rassicuranti quelle che emergono dalle riflessioni che Giuseppe De Rita, presidente del Censis, e Antonio Galdo fanno in un volumetto, di cui si è già  parlato su queste pagine, dedicato all’Italia di oggi.

“Elogio della lentezza ai tavoli di un bistrot ”

Loading

L’antropologo Marc Augé analizza i locali-simbolo degli incontri “faccia a faccia”, contrapposti alla solitudine 2.0: “Luoghi rituali che aiutano a vivere”

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment