In grattacielo come in terra

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Chi l’avrebbe mai detto un anno fa? Non ci va nessuno alla festa di compleanno della giunta Pisapia. Sarà  un caso, ma ieri sera, con dieci giorni di ritardo, ci è andato lui a vedere con i propri occhi cosa stava succedendo ai piedi della Torre Galfa di via Galvani. Finalmente! Speriamo ci abbia visto giusto. Perché lì sotto è successo un altro miracolo. Il primo l’aveva portato a Palazzo Marino, ma sembra il passato remoto. Macao, invece, si è trasformato nella più grossa grana che gli sia mai capitata. E dire che poteva, e potrebbe, essere il fiore all’occhiello di un sindaco che ancora si deve sdebitare con quella parte di città  che lo ha portato in trionfo. La parte migliore: mai a Milano una umanità  tanto varia si era lasciata trascinare felicemente attorno a un luogo simbolo della speculazione e dell’abbandono per trasformarlo naturalmente nel cuore pulsante di una città  che è stufa di infartare nel nulla. Invece dei movimenti a chiacchiere, un fatto: il luogo di ritrovo per eccellenza, per la prima volta di tutti, con i pochi militanti storici che ancora non credono ai loro occhi… e i «tavoli di lavoro» che vengono travolti da un entusiamo che scardina programmi e liturgie di movimento. Ma quando mai? Ecco il miracolo.
Bisognava attrezzarsi per accoglierlo. Magari prima. Sarà  per questo che fatta la frittata – lo sgombero – il sindaco si è dovuto rinchiudere in una riunione di giunta durata quattro ore prima di farsi vedere in strada. Forse si sono resi conto che bisognava partorire qualche pensiero più profondo, o politicamente spendibile, di «lavoreremo per dare spazio ai giovani nel rispetto delle regole» (le regole poi, con Ligresti di mezzo…). Qualcuno deve averlo informato male (prima grave mancanza) di questo strano progetto Macao e dei «lavoratori dell’arte» – ma chi sono? – che avevano occupato un grattacielo nel cuore della city. E che cosa ha visto ieri sera Pisapia? Ha ritrovato – ma forse numericamente erano anche di più – quei cittadini milanesi che giusto un anno fa festeggiavano dopo avergli consegnato Milano per cambiarla. Possibilmente in meglio. Adesso sono delusi e disincantati, anche se quando è arrivato lo hanno ugualmente applaudito. Tutti continuano a sperare in lui, però dal loro sindaco gentile, nei giorni scorsi, si aspettavano qualcosa di più, inutile negarlo. Se non altro, una vicinanza più decisa e calorosa.
L’ordine arrivato dall’alto di sgombero era legalmente ineccepibile – e questo dovrebbe far riflettere chi pensava di difendere l’occupazione di uno spazio privato cavillando in punta di diritto – ma Pisapia avrebbe potuto giocarsi una partita tutta politica, con più coraggio e lungimiranza. Ci teneva anche lui a Macao. Sembra che abbia fatto di tutto per guadagnare tempo. Avrebbe telefonato anche a Napolitano, poi al ministro degli Interni Cancellieri. Qualcuno più in alto di lui (Ligresti sarà  pure in crisi ma conta ancora qualcosa) deve aver pensato che in un momento politicamente così delicato fosse meglio stroncare sul nascere qualunque fenomeno sociale. Ma, in quanto sindaco di Milano, Giuliano Pisapia è uno dei pochissimi politici ancora popolari in Italia, forse l’unico che avrebbe potuto permettersi di battere i pugni sul tavolo per impedire a questo governo di metterlo seriamente in imbarazzo. Non per lasciare Macao nel grattacielo di Ligresti – questo era impossibile – ma almeno per impostare una trattativa all’insegna del reciproco ascolto e del tanto decantato dialogo. Invece è andata come è andata.
Adesso, in qualche modo, tocca recuperare e superare gli imbarazzi e le divisioni all’interno di una maggioranza che comprende anche i pasdaran del «rispetto della legalità » a tutti i costi (una parte del Pd, per esempio). Già  ieri sera, Giuliano Pisapia – «quando ho vinto vi avevo detto di tirarmi per la giacchetta e voi lo avete fatto» – ha promesso un nuovo spazio a disposizione: «Non solo di Macao ma di tutti i soggetti che vogliono ricreare cultura a Milano: lo spazio ex Ansaldo di via Tortona. Un’ipotesi lussuosa, che però si inserisce in un progetto complessivo con tanto di bando che interessa anche altre realtà  – si chiama Officina per la creatività . E questo non significa che il Comune abbia trovato uno spazio dove trasferire Macao. Decideranno le assemblee in strada se accettare la proposta. In ogni caso, gli sgomberati hanno vinto alla grande, e con loro tutti quelli che hanno ritrovato il gusto di riprendersi la città , come un anno fa. E, comunque, di spazi vuoti è pieno il mondo, figuriamoci Milano. 


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