“Spy and the City” tutti i caffè degli 007

Loading

WASHINGTON – Prendiamo un cappuccino da Starbucks sulla Ottava Avenue, offre il Kgb. Benvenuti nella New York di “Spy and the City”. Ecco, seduta al tavolo accanto alla vetrina, una bella signora che smanetta disperata con il portatile alla ricerca del “campo”, della sfuggente wi-fi per comunicare con il suo contatto, seduto a pochi tavolini da lei. Il suo nome è Chapman, Anna Chapman, e il suo lavoro è fare la spia per il Cremlino. Il cappuccino si fredda, il “muffin” da pucciare dentro si sbriciola, ma Internet non attacca. La signora si alza, si mette in piedi per cercare di acchiappare il segnale e se ne va frustrata. Eppure quel caffè è uno dei luoghi predestinati per i rendev-vous delle spie, uno dei mille e più mille dei quali New York brulica per questi appuntamenti clandestini. Non per sesso, ma per spionaggio. Non per scarpe di Manolo Blahnik, ma per codici segreti e piani militari. “Spy and city”.
Manhattan, dice la mostra che il canale televisivo Discovery Channel aprirà  venerdì prossimo, è e rimane da almeno 70 anni la capitale indiscussa dello spionaggio di ogni genere, industriale, economico, politico e naturalmente militare. Dai primi sabotatori, dalle prime talpe che l’Abwehr nazista dell’ammiraglio Canaris mandò nel Stati Uniti nel 1942 e 1943, all’ultima rete di agenti guidati dalla Chapman e scoperta nel 2010, le probabilità  che l’anziano gentiluomo con il quale sgomitate dentro una traballante carrozza della Subway, l’anonimo giovanotto che aspetta di attraversare la strada accanto a voi con le cuffiette nelle orecchie, la signora di mezza età  che vi accoglie con un sorriso alla reception di quell’hotel tanto carino e tanto “boutique” sia una spia sono più alte qui, che in ogni altra città  del mondo.
Due “consulenti” dell’Fbi e della Cia, Henry Schlesinger (nessuna relazione con l’ex direttore della “agenzia”) e Keith Melton hanno scritto libri che sembrano guide per turisti dello spionaggio, Zagat, Michelin o Lonely Planet per viaggiatori interessati non allo shopping, alla cucina, all’arte, ma allo scambio furtivo di documenti e materiale segreti. Nel pianeta realmente solitario dello spionaggio, dove ognuno sta solo in mezzo a un’umanità  che può inghiottirlo e mandarlo alla sedia elettrica come i Rosenberg, il rifugio preferito è la folla.
Sono i viaggiatori perennemente in ritardo che si muovono come mandrie nelle due grandi stazioni, la Penn Station e Grand Central, preferibili oggi agli aeroporti nei quali anche le sedie hanno orecchie dopo l’11 settembre. È nelle stazioni, dicono gli autori, che il passaggio fulmineo di un giornale arrotolato, di una busta, di una chiavetta usb possono avvenire più discretamente.
Il sentiero urbano fra Times Square a Broadway e il palazzo dell’Onu sull’East River, augusto alveare di spie avvolte nel sudario delle credenziali e delle false bandiere diplomatiche, sono tre chilometri di strade con la massima densità  di spie. Una “vasca” di neppure un’ora se percorsa di buon passo che soprattutto negli anni della Guerra Fredda garantivano la possibilità  di incrociare lo sguardo con un aspirante James Bond. Ma sono anche, queste del cuore di Manhattan, le strade delle tentazioni, sono il luna park nel quale gli uomini e le donne inviati per corrodere dall’interno l’odiata America rischiano di innamorarsene e di cambiare bandiera.
Erich Gimpel, spia nazista sceltissima e personalmente cara all’ammiraglio Canaris, sbarcò a Manhattan nel 1943 e prese contatto con un americano filo nazi, William Colepaugh. I due si incontravano nella stazione della subway sulla Settima e la 42esima, uno dei luoghi preferiti da tutte le spie e quindi costantemente osservati dal controspionaggio. Ma non ci fu bisogno di “brillanti operazioni” dello Fbi di J. Edgar Hoover per catturarli. Sedotti dalle luci della città , dopo un po’ di shopping da Macy’s, ripetute visite al Rockefeller Center e molte repliche del film National Velvet, decisero che il Reich Millenario era meno attraente del “sogno americano” tanto che Colepaugh si autodenunciò.
Anche al chiuso, al riparo di una stanza d’albergo, come potrebbe testimoniare Dominique Strauss Kahn, qualcuno può sempre guardarti, nella città  che sembra ignorare tutti e osserva ogni cosa. Fu in una camera del Commodore Hotel, oggi Grand Hyatt a Central Station che Whittaker Chambers, ex comunista passato nelle legioni dei grandi cacciatori di “rossi”, incontrò Alger Hiss, funzionario del governo di Washington, e lo fece parlare davanti a uno specchio trasparente montato dallo Fbi. Dalla scoperta che Hiss era una spia sovietica infiltrata nel governo si scatenò la caccia alle streghe maccartiste.
Se Washington, la capitale nazionale, potrebbe risentirsi e obbiettare all’autodefinizione di New York come capitale mondiale dello spionaggio, memore dei finti studi cinematografici della Cia nel cuore di Georgetown (oggi ristorante) o degli incontri nel bistrò “Au Pied de Cochon” dalle cui toilette spie catturate fuggivano sgattaiolando dalle finestre, sono le dimensioni, la densità  umana, la fretta collettiva, l’abbondanza di turisti e la babele di lingue a rendere Manhattan ineguagliabile. Anna Chapman, la bella “trappola del miele” che preferiva il contatto personale e ravvicinato con le proprie fonti di informazioni dopo feste arroventate, alla tecnologia e ai gadget, come dimostrava la sua incapacità  di collegarsi alla rete nei caffè, adorava i parchi pubblici, aveva usato una pietra finta e cava, con serratura, per nascondere gli 80mila dollari in contati del fondo spese versato dallo Fsb, il Kgb 2.0.
Eppure, nonostante queste sommette considerevoli, nella “Zagat” e nella “Michelein” dell’agente alla ricerca di luoghi da visitare e da frequentare, mancano completamente i famosi, e costosi, ritrovi e locali di Manhattan. Le spie sembrano preferire modeste delicatessen da pastrami e roastbeef, stazioni del metrò, mangiatoie collettive per le mandrie affannate nelle stazioni, forse per non dare nell’occhio e fare in fretta, visto che oltre i dieci secondi ogni abboccamento è a rischio. Qualcuno che si accomodasse in un ristorante da 500 dollari per alzarsi dopo dieci secondi attirerebbe inevitabilmente l’attenzione. O forse la spiegazione è più tristemente banale: neppure i servizi segreti, in questi anni di austerità  e di budget, potrebbero più permettersi i lussi del passato. Un cappuccino per James Bond, tiepido, non bollente.


Related Articles

Suicidi e crisi. La morte del samurai

Loading

Saggi. «Suicidi. Studio sulla condizione umana nella crisi», in quaranta storie l’identikit di chi si toglie la vita per senso di colpa e mancanza di lavoro. Il libro di Anna Simone pubblicato da Mimesis

La dura legge della conquista

Loading

Un sentiero di lettura sui rapporti di sudditanza tra Occidente e popoli colonizzati a partire da una analisi critica del complesso sistema di norme che ha legittimato la distinzione razzista tra il «noi» e il «voi»

La ginnastica filosofica raccontata da Seneca

Loading

Gli esercizi dell’autore latino per un’esistenza sana Tanto fitness dello spirito e nessuno sforzo muscolare

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment