Solo 2,5 miliardi nelle casse di Atene senza accordo salteranno stipendi e pensioni

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ATENE – La spia della riserva è già  accesa. La Grecia – dopo aver raschiato il fondo del barile causa crisi – ha in cassa 2,5 miliardi. E senza gli aiuti internazionali (tra un mese Ue-Bce e Fmi dovrebbero staccare un altro assegno da 30 miliardi) «Atene non avrà  più soldi per pagare stipendi e pensioni da fine giugno». A rilanciare l’allarme liquidità  è stato l’ex vicepremier Theodoros Pangalos. La partita a scacchi per la formazione del nuovo governo e la possibilità  di nuove elezioni stanno complicando la corsa a ostacoli per evitare l’addio ellenico all’euro. «Qui da noi c’è la falsa sensazione che Bruxelles e Berlino stiano bluffando e che alla fine arriverà  un salvagente cui aggrapparci – ha detto Pangalos – E’ una pia illusione. Senza esecutivo o con un no alla Ue, gli aiuti non arriveranno. E tra sei settimane la Grecia rimarrà  senza un euro in tasca». 
Il conto alla rovescia dei mercati è già  iniziato. Il tempo, sotto il Partenone, è denaro. E da qui a fine giugno il Paese – finanziariamente parlando – ha di fronte un’agenda da brividi per una nazione in pieno stallo politico. Il primo appuntamento è tra 24 ore: domani scade un bond da 450 milioni in portafoglio a investitori esteri. Questo prestito è stato emesso sotto legislazione internazionale e quindi è per legge escluso dal mini-default che ha costretto i creditori privati di Atene a rinunciare, obtorto collo, al 75% della loro esposizione. Cosa farà  la Grecia? Metterà  mano ai pochi soldi rimasti nel portafoglio per rimborsare al 100% gli hedge fund o li lascerà  a becco asciutto facendo scattare un altro default? Gli analisti sono convinti che il ministero dell’Economia non abbia scelta: restituirà  il dovuto turandosi il naso e scatenando, c’è da scommetterci, una valanga di polemiche. 
Il secondo fondamentale appuntamento è per giugno quando – in teoria – Atene dovrebbe approvare 11 miliardi di nuovi tagli mentre la Trojka dovrebbe confermare lo stanziamento di un’altra tranche di 30 miliardi di euro nell’ambito del piano di salvataggio di 130 miliardi garantito ad Atene dal memorandum. L’assegno di Ue, Fmi e Bce dovrebbe servire in parte per finanziare il debito esistente, ma soprattutto (più o meno 24 miliardi) per ricapitalizzare le banche, rimaste a corto di liquidità  dopo che lo swap ha falcidiato le loro riserve. Senza questo assegno, gli istituti rischierebbero il crac in poche settimane. Il problema è che a metà  giugno la Grecia potrebbe essere chiamata di nuovo alle urne. E che, secondo i sondaggi, a vincere sarebbe la sinistra radicale di Alexis Tsipras, favorevole alla permanenza nell’euro, ma decisa a rispedire al mittente l’austerità  che ha messo in ginocchio l’economia nazionale. Angela Merkel e il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso sono stati chiari: «Se gli accordi con Bruxelles non saranno rispettati, Atene non vedrà  un euro». E senza gli euro della Trojka, il tesoretto di 2,5 miliardi di risparmi rimasto in cassa si esaurirebbe in poche ore, lasciando dipendenti pubblici e pensionati ellenici senza stipendio e spedendo il Paese dritto dritto verso il crac e l’addio alla moneta unica.
Per disinnescare questa bomba ad orologeria ci sono solo due soluzioni e mezzo: la prima, quella di gran lunga preferita da Ue-Bce e Fmi, è che i partiti ellenici seppelliscano l’ascia di guerra e diano vita nelle prossime ore a un governo di emergenza. Le possibilità  però allo stato non paiono altissime. La seconda è che al voto di giugno esca vincitrice una coalizione pro-memorandum. In quel caso è probabile che Bruxelles possa garantire un po’ di soldi al Paese anche prima della formazione del nuovo esecutivo per la normale amministrazione. Il mezzo, dicono in camera caritatis molti osservatori politici, è una possibile apertura a Tsipras dopo l’eventuale successo della sinistra. Ok, Syriza – il partito del 38enne astro nascente della politica ellenica – e i suoi alleati respingerebbero il memorandum. Ma a quel punto la Trojka potrebbe (o forse dovrebbe) sedersi attorno a un tavolo per cercare nuove soluzioni e non lasciare andare alla deriva la Grecia. Il rischio contagio è troppo alto. I costi di un crac rischiano di essere di gran lunga superiori a quelli di nuove concessioni ad Atene. E, in fondo, nel portafoglio dei Paesi della Ue, di Fmi e Bce ci sono 194 miliardi di crediti con il Partenone. Se Tsipras non paga, i primi a pagare un conto salatissimo sarebbero loro.


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