Provenzano tenta il suicidio con un sacchetto sulla testa
PARMA — Il superboss di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano, avrebbe tentato il suicidio la scorsa notte nel carcere di Parma dove è detenuto da circa un anno in regime di 41 bis. «Binnu u tratturi» («Bernardo il trattore», così chiamato per la ferocia con la quale massacrava le vittime) è stato salvato dal personale della polizia penitenziaria prima che potesse mettere in atto i suoi propositi. La notizia, diramata dall’Ansa sulla base di fonti definite «qualificate», non ha ricevuto per ora conferme a livello ufficiale. Del fatto sarebbero state informate l’autorità giudiziaria e il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria.
Secondo una prima ricostruzione, Bernardo Provenzano, 79 anni, capo di tutti i capi di Cosa Nostra, arrestato nel 2006 dopo oltre 40 anni di latitanza e condannato in contumacia a tre ergastoli, avrebbe messo in atto il tentativo di togliersi la vita nell’area riservata del carcere di Parma. Il sistema scelto sarebbe stato quello del soffocamento: mentre era a letto, Provenzano, approfittando della lontananza delle guardie, ha infilato la testa in un sacchetto di plastica, arrivato non si sa come nella sua cella. Il tentativo di suicidio è stato sventato grazie ai continui controlli ai quali è sottoposto il capo di Cosa Nostra. Durante uno di questi, un poliziotto penitenziario del Gom (Gruppo operativo mobile) si è accorto che nella cella di Provenzano era successo qualcosa. Un gruppo di agenti ha subito fatto irruzione, impedendo al boss di portare a termine il suo piano. Le condizioni del boss sono buone, tanto da non rendere necessario il ricovero in ospedale. Sulla vicenda c’è il massimo riserbo. E anche un pizzico di giallo. Polemico il legale del mafioso, Rosalba Di Gregorio: «Due periti nominati dalla Corte d’assise di Palermo hanno di recente sostenuto che Provenzano sta bene: mi domando se forse non hanno visitato un altro…». Quindi l’avvocato si domanda: «Chi ha dato al detenuto il sacchetto di plastica?».
Perplessità anche dal sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe): «È inusuale che un personaggio del calibro di Provenzano tenti il suicidio», afferma il segretario aggiunto Giovanni Battista Durante.
La posizione carceraria di Provenzano, che dopo la cattura nel ‘93 di Totò Riina divenne il capo dei Corleonesi, è piuttosto problematica a causa di gravi patologie. Stando ai suoi legali, il padrino soffre, oltre che di una recidiva di un cancro alla prostata, di un’ischemia che gli ha seriamente danneggiato le funzioni cerebrali con sintomi che fanno pensare a una patologia tipo Parkinson.
È da un anno che Provenzano si trova nel carcere di Parma, proveniente da Novara. Da qui, ottenne di essere trasferito sulla base di una sentenza della Corte d’appello, secondo la quale le sue condizioni di salute erano tali da richiedere la presenza vicino al luogo di detenzione di un adeguato centro assistenziale. Nelle settimane scorse anche il figlio di Provenzano, Angelo, ha sollecitato maggiore attenzione per le condizioni del padre. «È un detenuto e va curato — ha affermato —, resta comunque un cittadino italiano».
Ad Ascoli, intanto, il boss Pippo Calò ha avuto una crisi cardiaca nel supercarcere ed è stato portato all’ospedale di Ancona.
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