Salario minimo e sussidio più tutele per i Co.co.pro.

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ROMA – Salario di base per i co. co. pro e indennità  una tantum più consistente. Ma paletti meno rigidi all’impiego delle partita Iva. Uno scambio decisivo sulla flessibilità  in entrata che sblocca il ddl lavoro, dopo alcune settimane di stallo. 
L’accordo sulle modifiche alla riforma Fornero è frutto della mediazione politica dei due relatori al provvedimento – i senatori Treu (Pd) e Castro (Pdl) – che ieri hanno depositato in commissione Lavoro di Palazzo Madama 16 emendamenti, di fatto concordati con governo e maggioranza, che si uniscono ai 27 dell’esecutivo e saranno votati a partire da martedì. Il testo è atteso in Aula, al Senato, già  per la fine della prossima settimana.
Le novità  più importanti riguardano i lavoratori a progetto. E sono due. Un salario di base «adeguato alla quantità  e qualità  del lavoro eseguito», non inferiore all’importo annuale che lo stesso ministero del Lavoro determinerà , con buona probabilità  vicino alla media tra gli emolumenti minimi del lavoro autonomo e quelli del settore privato. E un’indennità  una tantum rafforzata, in caso di perdita del lavoro, «in via transitoria» per il triennio 2013-2015, grazie a un incremento di risorse (60 milioni per ciascun anno). Si passa dal 5 a 7% del minimale annuo e da 4 a 3 mensilità  presso la Gestione separata nell’anno precedente, come requisito minimo per aver accesso all’ammortizzatore.
In cambio, vengono accolte le richieste delle imprese sull’utilizzo delle partite Iva. Sopra un certo reddito annuo (17-18 mila euro) sarà  impossibile dimostrare che la partita Iva è falsa e che si ha diritto a un’assunzione. Sotto quel reddito, la presunzione di lavoro dipendente scatterà  se ricorrono almeno due dei seguenti presupposti: la durata della collaborazione è di otto mesi in un anno (da sei), il fatturato che ne deriva costituisce più dell’80% di quanto percepito nell’anno (dal 75%) e il collaboratore ha una postazione presso il datore, ma «fissa». Presunzione che non vale per i lavoratori con «competenze teoriche di grado elevato» e per i professionisti iscritti ad Ordini.
L’articolo 18 non subisce stravolgimenti. I ritocchi sono quelli annunciati sui licenziamenti disciplinari: i giudici potranno reintegrare solo sulla base delle “tipizzazioni” presenti nei contratti nazionali e non anche in riferimento alle leggi (avranno meno margini). E il licenziamento scatterà  sin dalla comunicazione al lavoratore e non dall’inizio della conciliazione (misura contro i finti certificati medici), ma con attenuanti in caso di maternità  o seri impedimenti.
Il primo contratto a termine potrà  essere chiuso anche senza causale e per un periodo fino ad un anno (dai sei mesi). Se lo prevede il contratto nazionale, questa soluzione può essere applicata al 6% dei lavoratori occupati, ma solo se si avviano nuove attività . In questo contesto, la pausa tra un contratto a termine e un altro può scendere (dai 60-90 giorni ai 20-30). Per attivare il lavoro a chiamata basterà  anche solo un sms del datore alla Direzione provinciale del Lavoro (ma per “cicli” inferiori ai 30 giorni). Mentre le piccole imprese con meno di 10 dipendenti potranno assumere tutti gli apprendisti che vorranno, senza obbligo di assunzioni minime. Imprese commerciali e studi professionali torneranno a usare i voucher.


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