Il governo tre stellette. Israele va alla guerra

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La scelta del premier israeliano Benjamin Netanyahu suscita interrogativi in Europa e in America e desta allarme in Medio Oriente. Chi non ha dubbi sono i dirigenti del jihad islamico palestinese: il nuovo governo israeliano è stato formato “in vista di una nuova offensiva militare su Gaza”, scrivono in una nota. Il nuovo esecutivo di unità  nazionale è – osservano – “un governo composto da numerosi militari che hanno commesso crimini di guerra contro i palestinesi”. Per altri, invece, nel Golfo, ma pure in Europa e negli Usa, governo più solido è uguale a governo più libero di colpire l’Iran: un’azione preventiva destinata a distruggere gli impianti nucleari iraniani e a cancellare l’incubo d’una atomica integralista. Lo strike sarebbe, inoltre, un modo, per Netanyahu, di creare un grattacapo al presidente Usa Obama, che con il premier israeliano ha rapporti quantomeno freddi. E c’è già  chi ipotizza che l’attacco all’Iran possa essere la sorpresa d’ottobre di Usa 2012, cioé l’evento in grado di cambiare corso alla campagna.
Piani da dottor Stranamore, forse. E chi li avalla con la densità  di generali nell’équipe di Netanyahu ignora, o sottovaluta, che i generali in politica e al potere sono una tradizione israeliana consolidata, da Moshe Dayan ad Ariel Sharon.
Il governo Netanyahu allargato è una coalizione di 7 partiti, con 94 seggi su 120 alla Knesseth: 27 del Likud del premier, 15 della destra radicale, 5 degli ortodossi ashkenaziti, 11 degli ortodossi sefarditi, 3 dei nazional-religiosi, 5 della lista dell’ex premier ed ex generale Ehud Barak; a questi si aggiungono, dopo l’accordo con Shaul Mofaz, i 28 di Kadima, il partito centrista. La nuova coalizione permette d’evitare la trappola di elezioni politiche anticipate. Ma questo non basta a giustificare la mossa, per gli islamici palestinesi “Israele vive da tempo in stato d’allerta in vista di nuove guerre e dopo le rivoluzioni arabe non si sente più al sicuro”. analisi di parte, ma documentata: se diverse unità  sarebbero state richiamate e dispiegate lungo il confine con l’Egitto, il pericolo percepito più acuto è l’Iran verso cui intenderebbe compiere un attacco preventivo; e pure il sud del Libano e Gaza sarebbero “prossimi obiettivi”.
MILITARMENTE, l’ipotesi d’attacco all’Iran non è campata in aria. Israele ha la possibilità  di lanciare varie ondate di attacco simultaneo di 3 pacchetti di 18 velivoli ciascuno, per un totale quindi di 54 velivoli per ogni operazione. Il limite è dato non dai mezzi di attacco, ma dalle capacità  autonome di rifornimento in volo.
Per distruggere siti protetti o sotterranei Israele già  disporrebbe di una sufficiente quantità  di armamento convenzionale di precisione, fornito in parte dagli Usa. Potrebbero esserci in inventario bombe pesanti da 5.000 libbre, ad alta penetrazione – del tipo già  usato in Afghanistan contro le caverne di Tora Bora e in Libia per i bunker di Gheddafi – e altro armamento sganciabile da alta quota a distanza di oltre 50 miglia dall’obiettivo, fuori dal raggio delle difese, capace di una precisione inferiore ai 2 metri.
Con la chiusura dello spazio aereo turco – attualmente scontata – l’operazione sarebbe più complessa, ma resterebbe fattibile.


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