La nostalgia non serve oggi i libri sono migliorati

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Quando la proprietà  era dei singoli, l’impegno finanziario dell’azienda di solito non andava oltre quello di mantenere la famiglia a un livello decoroso, lasciando i mal pagati collaboratori a dipendere economicamente da eventuali altre entrate personali. Al contrario, gestire una società  per azioni significa in ultima analisi soddisfare gli azionisti, i quali in genere sono interessati soprattutto alla crescita e ai dividendi. Il giudizio più comune su questo cambiamento epocale è che la ricerca del profitto da parte degli editori ha preso il posto della ricerca del valore letterario. Ciò porterebbe gli editori a pubblicare molta immondizia anziché perseguire il compito culturale più elevato che è il vero scopo dell’attività  editoriale.
Il giudizio di valore in fin dei conti è soggettivo, ma penso che si possa affermare in modo chiaro che uno degli effetti del passaggio nella proprietà  delle case editrici è stato, in molti casi, la professionalizzazione. Complessivamente, i libri vengono venduti, pubblicizzati e immessi sul mercato in modo migliore di trent’anni fa (almeno nel paese che conosco meglio, la Gran Bretagna).
In altre parole, gli editori sono diventati più bravi nel mettere in contatto gli autori con i lettori. Come conseguenza del cambiamento avvenuto si pubblicano più titoli, il che dà  maggiori possibilità  di scelta ai lettori, e (almeno nei paesi che non hanno vincoli di legge) il prezzo dei libri è in calo costante. Un altro effetto è che gli editori hanno tratto vantaggio dalla rivoluzione nelle comunicazioni che ha avuto luogo nel medesimo periodo. Oggi la comunicazione avviene in un istante, non c’è più bisogno di aspettare le lettere in arrivo o da inviare, e gli editori non sono più obbligati a viaggiare per scoprire quello che succede in altri mercati. Gli editori devono quindi rispondere più celermente, ma possono anche diffondere le loro idee più rapidamente. La globalizzazione ha investito l’editoria come quasi ogni altra cosa. Questi due cambiamenti, la commercializzazione e la globalizzazione, hanno avuto l’effetto di amplificare ciò che fanno gli editori. Gli autori (e ce ne sono di tanti tipi diversi) i cui lavori raggiungono larghe fasce di lettori e hanno un successo commerciale, lo fanno su una scala che non è mai stata così ampia, sia all’interno di un paese sia in tutto il mondo. Per altri versi raggiungere questo risultato è più difficile e c’è una zona intermedia che ne soffre. Siamo di fronte a una riduzione del pluralismo o della mediocrità ? La risposta a tale questione dipende da ciò a cui date più importanza.
La discussione a Torino sarà  interessante.
(L’autore è direttore editoriale di Allen Lane/Penguin)


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