Nella «fabbrica» di Mélenchon si produce futuro

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Partendo dalla Goutte d’or, uno dei quartieri popolari di Parigi, a maggioranza africana, si prende il Boulevard Périphérique, il raccordo anulare che separa, come un muro sia fisico che sociale, la città  dalla sua sterminata periferia. Quella periferia che, cinque anni fa, Nicolas Sarkozy disse di voler ripulire con la pompa. Si attraversa il nord-est, dove un tempo abitavano le Classes dangereuses, e in cui ancora oggi la borghesia del sud-ovest non mette piede. 
Un’ora prima che vengano annunciati i risultati, da una moto sventola ottimista la bandiera del Front de Gauche. Decine di persone, dalle strade, dai negozi, dalle automobili la salutano con il pugno chiuso. Sono quasi tutti africani e maghrebini. Alcuni avranno la cittadinanza francese. Molti no. Per tutti, la scomparsa di Sarkozy dalla scena è più di una questione ideologica. Da quando esistono le quote di rimpatrio, ogni migrante, che abiti in Francia da tre giorni o da tre generazioni, è diventato sospetto.
L’Usine è un capannone incastrato in una stradina di una zona industriale riconvertita alla residenza. A mezz’ora dall’annuncio la sala è già  in festa. La prima sorpresa è l’età  media. La maggior parte dei militanti sono donne e uomini sotto i trent’anni e di origini diverse. L’altra sono i canti. Si intona: on ne lache rien, on reprend tout, «non molliamo nulla, ci riprendiamo tutto» (sottinteso: il caro vecchio «maltolto»). Solo pochi anni fa, il Pcf elaborava slogan del tipo: «Alla pensione, abbiamo diritto». Sottinteso: datecela e togliamo il disturbo. La cura Mélenchon è una rivoluzione copernicana. Ha rimesso l’insubordinazione e il progresso sociale nell’agenda di un partito rassegnato a trovare nella subordinazione ai socialisti una dignitosa eutanasia.
Sul grande schermo appare la faccia del nuovo presidente. La sala esplode. Dopo qualche minuto, appare Mélenchon. Sale sulla tribuna per registrare la sua dichiarazione alla tv. I militanti lo accolgono al grido di «resistenza». Lui sorride. Li incita a gridare più forte. Poi comincia. In sintesi: l’eliminazione di Sarkozy è un passaggio di una strategia. Prima di dieci anni, la sinistra (quella vera) sarà  al potere. Il Front de Gauche, fa capire, non è un’alleanza elettorale. È un soggetto che entra nella storia con un progetto egemonico. L’analisi del voto del primo turno, quell’11% che molti ha deluso, gli dà  ragione. Se i sondaggi indicavano il Front al 15, 16%, vuol dire che il suo bacino elettorale è più ampio dei voti espressi. 
Al secondo turno, i militanti, compatti, hanno votato Hollande. Non per il meno peggio. Ma con la convinzione di forzare con quel voto le cose in una direzione più ambiziosa, impensabile da almeno due generazioni.


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