“Il Nemico” al Salone

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Alla fine Gengis Khan conquista il Salone. Lo sbarco di Amazon al Lingotto rischia di monopolizzare la 25° edizione della più importante fiera editoriale d’Italia. Tra sorrisi di cortesia e molti malesseri. E con qualche colpo di scena. O, almeno, parole che non ti aspetti. Come quando Dario Giambelli, amministratore delegato di Feltrinelli, attribuisce all’azienda di Seattle la responsabilità  di “un nuovo imperialismo”. Mentre Stefano Mauri, timoniere del gruppo Gems, respinge al mittente l’accusa di gatekeeper, ossia di arcigno guardiano dei libri. Vogliono un mondo libero? Sì, ma libero di usare i kindle. Curiosa nozione di libertà . 
Quella tra il colosso di Seattle, sovrano assoluto dell’e-commerce mondiale, e le case editrici è una guerra aperta, anche se dissimulata dietro dichiarazioni compiacenti e soprattutto fruttuosi contratti commerciali. «Inutile gridare al nemico, poi tutti ci facciamo affari», commenta un concreto Carmine Donzelli. Non si può combattere il futuro, recita il mantra della città  del libro. E il futuro è Amazon, suggerisce l’assioma del fondatore Jeff Bezos e del country manager italiano Martin Angioni. Un futuro che però pone un sacco di problemi. E su questi montano le perplessità  degli editori.
Prima di restituirne riserve e malumori, sarà  utile rievocare le proporzioni di un fenomeno che – per accogliere un suggerimento di Ginevra Bompiani – è visto come una prova della reincarnazione di Attila: dove passa lui non cresce l’erba. A partire dagli Stati Uniti, Amazon ha ridisegnato il mercato dei libri, sia su carta che elettronici. Prima è stata travolta la distribuzione tradizionale: storiche catene come Borders sono precipitate, ma anche quelle italiane hanno risentito non poco della concorrenza. Poi è stata insidiata l’editoria cartacea, sia con la crescita degli e-book (favorita dalla diffusione del Kindle) sia con il lancio della piattaforma di self publishing grazie alla quale gli scrittori possono pubblicarsi da soli, facendo “marameo” agli editori. L’unico futuro garantito è per gli autori e per i lettori, si ostina a ripetere la squadra di Seattle. Per tutti gli altri, chissà . 
Non nasce insomma sotto i migliori auspici la convivenza tra Amazon ed editori sotto lo stesso tetto del Salone. Una rassegna che, nell’anno delle nozze d’argento con i lettori, rischia di essere la fiera non del libro ma del Kindle, non del romanzo ma del device, non della saggistica politica ma del Nokia Reading o dell’e-reader di Sony. Per la prima volta giganteggeranno al Lingotto i colossi dell’editoria hi-tech – player s’usa dire con anglicismo urticante – e tutto il Salone inneggerà  alla “primavera digitale” che dà  il titolo alla manifestazione. Anche i comunicati stampa saranno costretti nelle centoquaranta battute di Twitter, e tanto per abituarci «SalTo12» non è un integratore alimentare per stressati ma la sigla twitterata della fiera. Un mondo più sognato che realizzato, una terra promessa ancora molto distante da una comunità  che consuma una percentuale minima di e-book (tra l’1,1 e il 2,3 %, dati Nielsen) e compra i libri più in edicola che sulla rete (l’e-commerce è sotto il 10 %). Ma i nuovi vati non mostrano incertezze nel profetizzare come imminente il capovolgimento digitale. Meglio avvantaggiarsi col lavoro, devono aver pensato al Salone.
Una nuova evangelizzazione che poco persuade gran parte degli editori. Il timore diffuso è che l’attenzione al supporto elettronico, contenitore del libro ma anche del mondo della rete, finisca per mettere nell’ombra proprio lo strumento principe della lettura. «Il libro è stato il tramite essenziale per ripensare la visione del mondo, ma ora tendiamo a considerarlo come una app dell’iPad», suggerisce Giuseppe Laterza. «Quando parliamo di Amazon, ci riferiamo a un ecosistema in cui il libro non è il centro, ma parte di una galassia». Quello editoriale è infatti solo uno degli innumerevoli scaffali pieni zeppi di borse e scarpe, oggettistica, attrezzi di giardinaggio, arredi per bagni e cucine, oltre la musica e il cinema. «Sono favorevole a tutte le forme di distribuzione», aggiunge Laterza, «purché si mantenga fermo il principio che il libro ha una qualità  specifica che è la lunga durata. Il mercato editoriale sta andando verso una direzione contraria. Tra poco anche il successo di un libro si misurerà  sulle vendite del primo week-end. Ma in questo modo si uccide il meglio della saggistica e della letteratura, che hanno bisogno di tempi lunghi». L’incubo, in sostanza, è quello di «dipendere tutti da un unico e grande algoritmo».
Il rilievo mosso ad Amazon è di ergersi a Grande Liberatore del Lettore e dell’Autore quando poi presidia il mercato insieme a pochi altri controllori (Google, Apple etc). Giambelli, che guida un gruppo non timido come Feltrinelli, non esita a parlare di «un nuovo imperialismo», favorito da una tassazione di gran lunga inferiore a quella italiana: «Oggi il mercato culturale è monopolizzato da pochi colossi dotati di un business in cui l’editoria è una voce marginale. Con l’aggravante che questi gruppi sono in conflitto tra loro per la costruzione di sistemi chiusi, supporti elettronici che non comunicano». Secondo Giambelli l’e-book in Italia è destinato a crescere, ma non con i ritmi registrati altrove. «Le abitudini e i consumi italiani ma anche europei sono molto diversi da quelli americani». Per potenziare gli e-book, interviene Donzelli, «occorre ripensare il modo di fare i libri». Non bastano i comunicati stampa delle multinazionali. 
E il colosso di Bezos? Si prepara a invadere il Salone con i nuovi kindle a prezzi scontati (meno dieci euro per tutti i modelli). Jorrit Van der Meulen, vice presidente di Kindle-Amazon in Europa, si dice «lieto di poter mostrare al lettore italiano un’esperienza di lettura completamente nuova». La presenza di Martin Angioni – il capo della sede italiana, peraltro figlio di Maria Elisabetta zu-Stolberg, una delle libraie più raffinate di Torino – era annunciata alla tavola rotonda con i nostri grandi gruppi, ma il suo nome è sparito dal programma. Ci ha ripensato? Forse, ci rispondono da Amazon, ma non costruiteci sopra un romanzo. È la politica sobria e “non presenzialista” dell’azienda. L’unico dato certo è che in un primo tempo non figurava nel dibattito il nome di Mauro Zerbini, amministratore delegato di Ibs (la libreria online concorrente), aggiunto in una fase successiva. Che Amazon non abbia gradito?. L’ipotesi viene avanzata da ambienti vicini a Ibs. O, assai più realisticamente, i giganti svettano così in alto da permettersi il lusso di snobbare la comunità  circostante? La primavera digitale s’annuncia con qualche nube, di certo non noiosa.


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