Rischio débà¢cle per la Clinton e Romney attacca Obama “Il giorno della vergogna”
NEW YORK – «Oggi è una giornata nera per la libertà e un giorno segnato dalla vergogna per l’Amministrazione Obama»: è implacabile il giudizio che Mitt Romney dà sul «pasticciaccio» del dissidente Chen Guangchen rilasciato alle autorità cinesi. Il candidato presidenziale repubblicano accusa la diplomazia americana di avere «trasmesso a Chen le minacce (delle autorità cinesi, ndr) contro la sua famiglia, e di avere accelerato la sua partenza dall’ambasciata Usa di Pechino». L’affondo di Romney avviene mentre alcuni parlamentari repubblicani guidati da Chris Smith ascoltano dalla viva voce di Chen al telefono la sua richiesta di asilo politico negli Usa. Il rischio è quello di un doppio insuccesso per Obama: inefficace nella difesa dei diritti umani suo malgrado; e al tempo stesso esposta a una crisi nelle relazioni con Pechino che sono cruciali per la loro dimensione economica, finanziaria, politica e militare. È il contraccolpo della delusione, dopo quello che era stato troppo frettolosamente definito un «capolavoro diplomatico» di Hillary Clinton, e adesso viene bollato addirittura come un “tradimento”.
Politici e media americani ricevono versioni contrastanti sugli accordi Washington-Pechino che hanno portato Chen a lasciare la protezione diplomatica americana. Se si conferma che l’attivista cieco è caduto in una trappola, per Obama è un incidente che i repubblicani sfrutteranno a lungo da qui al voto di novembre. Il primo ad aprire le ostilità a Washington è il presidente della Camera (dove la destra è maggioritaria), il repubblicano John Boehner: «Sono profondamente turbato, se si conferma che Chen è stato costretto a lasciare la nostra ambasciata a Pechino sulla base di promesse inaffidabili o addirittura sotto la minaccia di violenze contro la sua famiglia». Le voci critiche arrivano anche da sinistra, come quella di Nicholas Bequelin dell’ong Human Rights Watch: «È incredibile che gli Stati Uniti abbiano preso sul serio le garanzie fornite dal ministero degli Esteri cinese sul trattamento che sarà riservato a Chen». Gli dà indirettamente ragione anche un ex collaboratore di Barack Obama, Jeffrey Bader che è stato consigliere per la politica asiatica del presidente e ora lavora alla Brookings Institution: «Purtroppo abbiamo sempre avuto lo stesso problema, se fidarci del ministero degli Esteri cinese». Nella divisione dei poteri a Pechino – osservano molti esperti americani – quel dicastero degli Esteri che è l’interlocutore naturale di Washington, spesso non conta nulla, le sue promesse vengono regolarmente calpestate dai vertici del partito comunista o del Politburo dove siedono i pesi massimi del regime.
Come minimo, Obama e soprattutto la Clinton si vedono accusati di ingenuità per avere “rilasciato” troppo presto il dissidente esponendolo alle rappresaglie. La biografia dell’attivista cinese si presta a eccitare gli animi della destra religiosa negli Stati Uniti. La ragione per cui Chen è perseguitato da anni in Cina, è la sua attività di avvocato al servizio di donne che furono sottoposte agli aborti forzati, nell’applicazione più feroce della politica del figlio unico. Un tema esplosivo visto che nel partito repubblicano prevalgono gli anti-abortisti, Mitt Romney incluso, e Obama è sotto accusa sui temi della contraccezione. Un altro cavallo di battaglia di Romney è l’eccessivo deficit pubblico degli Stati Uniti che li rende “ricattabili” da parte della Cina, principale investitore estero in Treasury bond.
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