I riti, la famiglia, le «proroghe» Quei passi indietro del «Divo»

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La progressiva scomparsa di Giulio Andreotti dalla scena mediatica nazionale risale alle 18.20 del 2 novembre 2008.Il senatore a vita è seduto nel salotto pomeridiano di Canale 5, Questa domenica. La conduttrice Paola Perego gli chiede: «Senatore, quale futuro si augura per i nostri bambini?». Andreotti è più curvo di qualche istante prima. Improvvisamente assente. La testa bloccata verso l’alto. Silenzio. Paola Perego insiste. Ancora silenzio: «Presidente…». Parte dalla regia una provvidenziale pubblicità . Poi i due riappaiono, grandi applausi, Andreotti perfino scherza: «Sono contento perché mi avete messo non tra due ladroni ma tra due bellissime ragazze». Un mancamento improvviso, in diretta, senza conseguenze. Però un segnale assai eloquente, sia medico che psicologico.
Da quel giorno l’Andreotti presenzialista in tv di fatto sparisce, lasciando lo spazio a un altro uomo, inevitabilmente uguale a tutti gli altri anziani di questo mondo, impegnato in un duello con l’età  e i tanti acciacchi. Un’attività  ogni giorno più ridotta. Basta consultare gli archivi di un giornale per ricostruire che, almeno dalla fine del 2009, la parola «Andreotti» non compare nei titoli se non per una citazione in un libro, per una sporadica dichiarazione il giorno del compleanno, il 14 gennaio, scandito ora da un «Grazie a Dio ce l’ho fatta» (2010), «Grazie per la proroga» (2011) e «Confido in un’ulteriore proroga da parte del Signore» (2012).
In questi anni Giulio Andreotti si è rinchiuso in un microuniverso di legami e di abitudini, geograficamente compreso tra la sua casa alla fine di Corso Vittorio Emanuele, le visite saltuarie a palazzo Giustiniani di fronte a palazzo Madama (uno studio monumentale pieno di ricordi e di volumi). Le apparizioni non più quotidiane come un tempo alla barberia del Senato per il rito del pennello, la schiuma, il rasoio: immagini da Prima Repubblica, per Andreotti ancora vita quotidiana. 
Altra tappa abbastanza fissa, la Messa ascoltata preferibilmente alla chiesa del Gesù, casa madre dei Gesuiti, tempio cattolico di riferimento della Democrazia Cristiana proprio perché di fronte alla sede storica dello Scudocrociato di palazzo Cenci Bolognetti. Oppure alla cinquecentesca basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini, dietro casa. 
In quanto alla dieta alimentare, pasti leggeri ma nessuna rinuncia, anzi la richiesta esplicita di qualche piatto romano. Sempre per sentirsi uguale a prima. Circa il rapporto col sonno, molte veglie notturne. Crudelmente ovvie per chi ha la sua età .
Intorno a questi riti sempre uguali, a un tran-tran controllato con attenzione dai fidati uomini della scorta e dalla segretaria Patrizia Chilelli, pochissimo altro. Una lettura dei giornali poco avida e ormai lacunosa e frammentaria, qualche libro cominciato e non concluso, un po’ di televisione soprattutto per i telegiornali. 
Di fatto un graduale isolamento per colpa di quei vuoti di memoria e di presenza mentale che appannano anche la personalità  più acuta, ironica e sottile. I suoi incontri a palazzo Giustiniani riguardano un ristretto, sceltissimo gruppo di persone capaci di dialogare con un uomo psicologicamente segregato in una sorta di campana di vetro per la fortissima sordità : due apparecchi acustici non riescono a restituirlo a una piena socialità , a quel gusto per la battuta, al culto del ricordo, dell’aneddoto che hanno consegnato Andreotti non solo alla storia politica di questo Paese ma anche a quella del costume.
Gli ultimi, autentici, profondi rapporti del senatore a vita col mondo esterno riguardano la sfera affettiva e familiare. Il figlio Stefano, manager Siemens. La figlia Serena col genero Marco Ravaglioli. Presenze quotidiane, anche a turni, come si fa tra fratelli. Ma ogni giorno all’ora di pranzo arriva la telefonata di Marilena, che vive a Torino, e di Lamberto, da New York, dov’è presidente esecutivo della Bristol-Myers. 
Una famiglia unitissima che vigila su ogni ora dell’ex presidente del Consiglio. E che ha seguito l’ultima bronchite, fonte di forte preoccupazione. Alla sparuta cerchia familiare, oltre naturalmente ai nipoti, appartiene anche Giulia Bongiorno, avvocato, confidente e amica personale, una specie di figlia adottata in età  già  adulta.
Però mercoledì 2 maggio il sito Dagospia, alle 10.22 del mattino, pubblica un flash di poche righe: «Andreotti in auto verso il suo ufficio alle 10.10, in via Tomacelli, il Divo Giulio sta meglio». Qualche telefonata di controllo, e naturalmente è tutto vero: quel giorno, pochi minuti dopo le 10.10, è lì, a palazzo Giustiniani, nel suo eterno completo grigio ferro lievemente gessato e con uno dei suoi gilet blu notte che lo riparano dal freddo. A bronchite domata, Andreotti chiede e ottiene di riprendere le abitudini decennali che gli permettono di sentirsi l’uomo di un tempo: salire in auto, arrivare in ufficio, la segretaria con la posta. 
Poi, ieri, i probabili strascichi di quella bronchite. Battute ironiche che trapelano. La voglia evidentissima di non cedere. Nemmeno stavolta. Lui, alle proroghe dell’Altissimo ci crede fermamente.


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25 aprile 2011

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Un 25 aprile grigio, affogato in una Pasquetta anch’essa grigia ed esitante, tra nuvole e pallido sole. Più che inseguire le singole dichiarazioni dei politici, anch’esse scialbe e ripetitive, dovrebbe essere occasione di un bilancio: tanto più perché la ricorrenza cade in un’annata che vede celebrare un 150° dell’unità  nazionale che avrebbe dovuto stimolare anche riflessioni su cosa siamo diventati, assai più che su come siamo nati e cresciuti.

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