4 milioni di cubani a difesa del «progetto»
All’Avana, un fiume di persone (tra 600 e 800 mila) hanno sfilato in piazza della Rivoluzione, ma non meno massiccia è stata la partecipazione nelle altre città cubane. Si calcola che più di quattro milioni di cittadini (su una popolazione di 11,2 milioni di persone) abbiano manifestato il primo maggio « in difesa del progetto», voluto dal presidente Raàºl Castro e approvato l’anno scorso dal sesto Congresso del Pc, di «modernizzazione del modello economico e sociale cubano». Per sottolineare l’importanza dell’evento è stato mobilitato il vertice politico -Raàºl ha presenziato alla sfilata dell’Avana, il vicepresidente Machado Ventura a Santiago (qui hanno sfilato 400 milapersone), il comandante Ramiro Valdés a Mayabeque.
Nella capitale un grande cartellone da un edificio metteva in chiaro: «Non torneremo mai al capitalismo». Di fronte a quel manifesto – e questa è la maggiore novità – è sfilata anche una massiccia rappresentanza dei lavoratori por cuenta propria, ovvero privati. E proprio in occasione della festa del lavoro, i leader sindacali hanno ribadito che la modernizzazione comporterà una profonda riforma del mondo del lavoro a Cuba. Innanzi tutto che i tagli degli organici nel settore statale riprenderanno con vigore: entro la fine dell’anno si prevede che saranno resi «disponibili» (la formula utilizzata per i tagli) 110 mila posti di lavoro, che aggiunti ai 140 mila già usciti lo scorso faranno un totale di 250 mila posti tagliati negli organici «inflazionati» del settore statale. Entro il 2015 il «dimagrimento» dovrà essere ancor più drastico con un totale di almeno mezzo milione di lavoratori (circa il 10% della forza lavoro) espulsi dai posti di lavoro statali e, così si spera, inseriti nel settore privato (cuentapropistas) e in quello in via di formazione, cooperativo. (Fino a oggi la quasi totalità delle cooperative è nel settore agropecuario). Entrambi tali settori, per questa data, dovranno contribuire a produrre il 40% del Pil ha affermato Valdés
Questo «reajuste laboral» (riordinamento del settore del lavoro) secondo Valdés «rappresenta la maggiore sfida mai affrontata dal sindacato nei 53 anni della Rivoluzione». Fino ad oggi,come detto, l’unica alternativa possibile per i lavoratori usciti (o espulsi) dal settore statale è stata quella di investire su se stessi e diventare cuentapropristas. Secondo cifre fornite dal sindacato, i lavoratori privati a Cuba sono circa 370 mila (esclusi i contadini privati o inseriti in cooperative agricole. che dovrebbero avvicinarsi al milione di unità ), la quasi totalità dei quali nel settore dei servizi e, sempre secondo la Ctc, l’80% sono iscritti al sindacato. Entro la fine dell’anno si prevede che raggiungeranno il tetto delle 600 mila unità .
Ma la «sfida» che deve affrontare il sindacato e soprattutto il governo va al di là della drastica riduzione delle dimensioni dello Stato. È necessario «invertire il processo, aumentando il peso del settore produttivo rispetto a quello dei servizi», sia per poter aumentare i salari, che però dovranno «essere legati alla produttività e all’efficienza», sia per produrre quei beni (soprattutto alimenti) che oggi pesano come macigni sulla bilancia dei pagamenti. Lo stato cubano nel 2011 ha speso una cifra superiore a 1,5 miliardi di dollari per importare beni e alimenti che «potrebbero essere prodotti nell’isola». «Fino a quando il paese non riesca a ridurre gli organici (statali,ndr) e eliminare i sussidi non necessari che cospirano contro l’aumento di produttività del lavoro, (il governo, ndr) non sarà in grado di aumentare i salari» (lo stipendio medio è di 450 pesos, circa 16 euro, al mese) ha dichiarato il segretario generale della Ctc.
Valdès ha ribadito che tutto il processo dovrà essere condotto con criteri di «giustizia sociale». Nel 2010, quando il presidente Raàºl aveva annunciato il piano di profonde riforme per ridurre il peso dello Stato si era ipotizzato un calendario di tagli feroci: in un anno circa mezzo milione di lavoratori avrebbero dovuto lasciare il loro posto e costruire un settore non statale, ancora non ben definito. Nei lavori preparatori del sesto congresso del Pc – che ha comportato decine di migliaia di incontri con cittadini e lavoratori – il vertice politico ha dovuto constatare all’inizio dell’anno scorso che tali piani non potevano essere attuati con il consenso dei lavoratori e delle rispettive famiglie. Il calendario delle riforme è stato dunque rallentato. Ma i problemi sono rimasti. Tanto che la settimana scorsa Ariel Terrero, principale analista economico della tv di Stato, ha criticato il ministero del Lavoro «per non aver abbordato questo programma tanto importante con sufficiente trasparenza». In pratica, dice Terrero, non sono state fornite cifre ufficiali sul numero dei lavoratori che si sono detti «disponibili» a lasciare il loro posto né «se sono stati coinvolti più gli uomini o le donne, o se abbia contato l’età ».
Il segretario della Ctc ha dunque dato delle cifre e ha cercato di rassicurare i lavoratori sull’equità delle misure che comunque dovranno essere attuate «senza ledere i diritti», né causare «traumi» sociali. Il sindacato è impegnato anche a «integrare» nella Ctc i nuovi lavoratori privati, categoria che, solo fino a pochi anni fa, era considerata «nemica del socialismo».
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