Nella chiesa colpita da Al Qaeda “Vogliono sterminare noi cristiani”

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Nairobi.IL SANGUE dei cristiani è sul pavimento, mescolato a frammenti di vetro. Le gocce colorano di porpora un mazzetto di fiori di plastica dorata e seguono una strada fra le sedie di plastica bianca fino all’ingresso della chiesa. È il sentiero della disperazione, quello su cui il gregge della Casa di Dio dei miracoli ha portato d’urgenza i fedeli colpiti dalla granata lanciata da un attentatore. «Saranno state le otto del mattino», racconta Mugo, che per campare lava le macchine con l’acqua degli scarichi lì accanto, a cielo aperto. «Ho sentito l’esplosione, ho visto un uomo che scappava e altri che lo inseguivano. L’avrebbero preso, se non avesse tirato fuori la pistola mettendosi a sparare in aria». Proprio nella stessa ora scattava la strage anche in Nigeria, dove un commando di uomini armati ha attaccato con bombe e mitragliatori gli studenti del campus di Bayero, riuniti per una funzione religiosa cristiana all’interno dell’università  di Kano, nel nord del paese. I morti sono almeno 15, forse venti.
In Kenya invece solo un giovane è rimasto ucciso, ma i feriti sono almeno una quindicina. «L’attentatore ha lanciato la bomba quando i fedeli si sono avvicinati al pastore, per colpirne un gruppo il più numeroso possibile. Ma ha sbagliato mira: la granata è esplosa vicino alla parete. Ringraziamo Dio, poteva essere molto peggio», raccontano i testimoni ancora frastornati. La chiesa è una bassa costruzione di lamiera dipinta di blu sorta assieme a tante altre nel quartiere di Ngara. All’ingresso, un enorme cartello dice: «Grazie di aver scelto la Casa di Dio dei miracoli». In questa periferia il messaggio di Dio contende lo spazio sui muri agli annunci delle officine. Una parete grida a caratteri cubitali: Gesù Cristo è il Signore. La parete accanto propone la tentazione più terrena di una lacca per capelli. Qui, come spesso in Africa, la fede ha trovato quasi una dimensione da business. E qui, per chi ha voluto colpire la comunità  cristiana, era facile trovare un obiettivo.
Sorella Mary aggiunge i dettagli alla storia: «Alla funzione c’era una faccia che non avevo mai visto. Noi ci conosciamo tutti, nella comunità . Non so chi fosse, ma sono certa che l’uomo inseguito era un somalo. Ma ha sbagliato a lanciare la sua granata alla funzione delle 8: c’era poca gente. Se avesse colpito a metà  mattina, sarebbe stato un massacro».
Un somalo: i kenyani riconoscono chi arriva dalla Somalia per i tratti somatici o la pettinatura. Ma indicano gli immigrati a voce bassa: sono una presenza ingombrante, se non inquietante. Perché parlando di un bomba dire somalo equivale a dire un uomo di Al Shabaab, la formazione islamica radicale che gli analisti considerano ormai definitivamente confluita dentro i ranghi di Al Qaeda. A Nairobi la convinzione che ad attaccare i cristiani siano stati i qaedisti somali è abbastanza diffusa, anche se nel quartiere di Ngara c’è chi invece sottolinea il problema di proprietà  del terreno. A far scattare l’odio, in altre parole, potrebbe essere stata una disputa fra la chiesa e le officine aperte pochi metri più in là .
Molto più solida è la certezza dei nigeriani, che puntano il dito contro la setta islamica radicale Boko Haram, protagonista di una campagna di sangue già  all’inizio dell’anno, con quasi 200 morti. I miliziani non hanno rivendicato l’attacco di ieri, ma è quasi una firma anche l’uso di bombe artigianali, costruite con esplosivo schiacciato dentro barattoli di alluminio.
Ciò che però adesso sembra acquistare nuova evidenza è l’ipotetica connessione fra le azioni. A indebolire la tesi della piccola disputa per la bomba di Nairobi c’è il fatto che i due attacchi sono partiti alla stessa ora: a meno di una sorprendente coincidenza, il messaggio appare abbastanza chiaro. Le due azioni potrebbero essere congiunte alla conquista del nord del Mali, dove i miliziani di Boko Haram sono stati visti accanto alle fazioni più dure delle tribù tuareg in rivolta, inquadrate anch’esse da Al Qaeda. Insomma, è difficile sfuggire all’idea che la rete del terrore dell’islam radicale rivendichi l’apertura di un fronte complessivo, l’Africa subsahariana.
Se l’occidente sembra distratto e l’intervento si limita a qualche bombardamento mirato dell’aeronautica Usa in Somalia, in Kenya la percezione è sicuramente più netta. Alberghi, ristoranti, grandi magazzini sfoggiano misure severe, metal detector e controlli all’interno delle auto. Ma forse sono precauzioni inaccettabili per la casa di Dio e certamente impossibili per una piccola chiesa eretta con la lamiera.


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