COSàŒ I POPOLI DIVERSI POSSONO VIVERE IN PACE
Dunque, il liberalismo politico così come interpretato nella mia opera Il diritto dei popoli lascia agli elettori ed alle loro argomentazioni filosofiche la possibilità di selezionare quale concezione liberale debba essere adottata per la loro unione. Ci troviamo qui dinanzi alla presenza di una divisione del lavoro tra Il diritto dei popoli, da una parte, che fornisce uno schema di formulazione delle norme di diritto internazionale e della prassi politica e, dall’altra, delle decisioni di cittadini liberi ed eguali in società liberali.
Personalmente non ritengo che questa divisione dei compiti, una volta compresa correttamente, risulti poco generosa. È vero che non favorisce alcuna particolare concezione liberale, poiché non ha i caratteri di una dottrina filosofica completa; il suo scopo è tuttavia quello di fornire norme internazionali di condotta per una società dei popoli ragionevole nella quale siano sempre presenti considerevoli differenze di opinione religiosa e filosofica.
Per un popolo liberale il requisito del possesso di un’unica lingua, storia e cultura comune, nonché di una consapevolezza storica condivisa, rappresenta una circostanza rara, se mai pienamente realizzata.
Le conquiste e l’immigrazione hanno causato la mescolanza di gruppi culturalmente diversi e caratterizzati da una memoria storica differenziata, oggi inseriti all’interno del territorio della maggior parte dei governi liberal-democratici contemporanei. Nonostante ciò, Il diritto dei popoli ha inizio con un caso standard – ovvero con quelle nazioni che J.S. Mill ha descritto adoperando il concetto di nazionalità in senso stretto. Forse, se prendiamo le mosse da questo caso standard, saremo poi in grado di elaborare princìpi politici per contesti più difficili. Ad ogni modo, una semplice presentazione che consideri restrittivamente come nazioni soltanto i popoli liberali non merita di essere liquidata in modo sommario. In una materia così complessa come quella di Il diritto dei popoli dobbiamo iniziare con modelli abbastanza semplici e vedere quanto lontano ci conducono.
Un elemento che c’incoraggia a procedere in questa direzione consiste nell’osservare che all’interno di un sistema liberale ragionevolmente giusto è possibile, a mio avviso, far convergere altrettanto ragionevoli interessi e bisogni culturali collettivi con la diversità di background etnici e nazionali.
Procederemo in base all’assunzione secondo cui i princìpi politici propri di un regime costituzionale ragionevolmente giusto ci permettono di affrontare, se non tutti, almeno un ampio numero di casi. Vi saranno senz’altro eccezioni e tenteremo di affrontarle ogni qual volta queste emergeranno.
Un punto sul quale gli europei dovrebbero interrogarsi riguarda, se mi si concede di azzardare un suggerimento, quanto lontano vogliono che si proceda con la loro unificazione. Mi sembra che molto sarebbe perduto se l’Unione europea diventasse un’unione federale come quella degli Stati Uniti. In quest’ultimo caso, infatti, esiste un linguaggio condiviso del discorso politico e una completa disponibilità a passare da una all’altra forma di Stato. Inoltre, non sussiste un conflitto tra un ampio e libero mercato comprendente tutta l’Europa, da una parte, e dall’altra i singoli Stati-nazione, ciascuno con le proprie istituzioni, memorie storiche, e forme e tradizioni di politica sociale.
Sicuramente questi elementi sono di grande valore per i cittadini di tali paesi, poiché danno senso alle loro vite. Un ampio mercato aperto che includa tutta Europa rappresenta l’obiettivo delle grandi banche e della classe capitalista, il cui principale obiettivo è semplicemente quello di realizzare il più alto profitto. L’idea di crescita economica progressiva e indeterminata caratterizza perfettamente questa classe. Quando parlano di redistribuzione, lo fanno di solito in termini di redistribuzione a gocciolamento.
Il risultato a lungo termine di questa politica economica – già in atto negli Stati Uniti – conduce a una società civile travolta da un consumismo senza senso. Non posso credere che ciò è quanto desiderate. Come vedi non mi piace la globalizzazione che le banche e i capitalisti stanno affermando. Accetto l’idea di Mill sullo Stato stazionario così come viene descritto nel la sua opera Principi di Economia Politica (1848). Non m’illudo che questo un giorno accadrà ma che sia – anche se non subito – almeno possibile, e che perciò trovi posto nella mia definizione di utopia realistica.
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