A Rieti la sfida di Petrangeli parte dal nuovo carcere

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«Quasi quasi ci conviene andare in Umbria. Almeno così non ci chiudono gli ospedali. Il Lazio è purtroppo solo Roma». Così un signore anziano commentava le ultime notizie sui tagli alla sanità  reatina. Rieti è incastonata sulla Salaria tra tre regioni, di cui una tradizionalmente rossa – l’Umbria – e le altre due – Lazio e Abruzzo – con un’altra storia. Insieme a Luigi Nieri, capogruppo di Sel in Regione Lazio, ho raggiunto Simone Petrangeli, candidato sindaco a Rieti in rappresentanza di un centrosinistra molto largo. Simone ha vinto le primarie sparigliando le carte. Lui che come Zedda e Pisapia non arriva dal Pd, bensì da Sel, se la gioca ad armi pari con l’avversario di centrodestra. 
L’appuntamento è verso le due di pomeriggio davanti al nuovo carcere di Rieti. Devo dire che sono rimasto sorpreso quando Simone Petrangeli mi ha proposto una visita in galera a pochi giorni dal voto. In carcere possono votare solo quelli con pene brevi o ancora in attesa di giudizio. Burocrazie ottuse rendono l’esercizio del diritto di voto dei detenuti complicato. Chi fa politica con speranze concrete di vittoria tende in prossimità  del voto a non evocare in modo critico il tema della prigione, dei diritti di chi sta dentro, delle condizioni di vita di detenuti e operatori. Si teme che possa far perdere voti. Siamo stati abituati – anche a sinistra – a battaglie elettorali tutte nel nome della sicurezza e della tolleranza zero. A Rieti vi è un carcere nuovo, aperto da poco, dopo che vi è stata molta melina da parte dell’amministrazione penitenziaria. Pur essendo pronto da un paio di anni, non veniva messo a regime in quanto non si sapeva dove trovare il personale per farlo funzionare.
Il giorno prima della nostra visita, al carcere di Rieti era andato il nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino. Aveva rilasciato dichiarazioni che hanno conquistato la prima pagina dei giornali locali: «Rieti deve diventare come Bollate a Milano, un carcere aperto, ricco di attività , di iniziative sociali, dove i detenuti possono stare fuori dalla cella almeno la metà  della giornata». La nuova direttrice, proveniente dalla scuola romana di Carmelo Cantone a Rebibbia, si è detta entusiasta. Gli esperti sanno però che per far funzionare un carcere del genere ci vuole un territorio sensibile, un comune che si metta a disposizione. 
La destra oggi al governo di Rieti che ricandida Antonio Perelli, sindaco uscente, guarda da un’altra parte. Ci raccontano i volontari reatini che è priva di vocazione sociale, è disinteressata al tema. Eppure qualunque bravo sociologo della devianza potrebbe ben spiegare che più vi è reintegrazione più vi è sicurezza pubblica. Simone Petrangeli ha detto di essere pronto a giocare questa scommessa. Lo ha detto anche ai detenuti basiti all’idea di stare in un futuro carcere sperimentale. Siamo stati quasi tre ore in giro per sezioni, uffici, spazi aperti a incontrare i detenuti, i medici, gli psicologi, gli educatori. Il personale è ancora del tutto insufficiente per una galera da potenziali quattrocento posti. 
A Rieti ci ricordano che Simone, oltre dieci anni fa, era in prima fila nella battaglia ambientale, legale e sociale contro la costruzione del nuovo carcere. Oggi però siamo tutti d’accordo che visto che ormai il carcere c’è va usato al meglio. Esternamente è molto brutto. La prima cosa che potrebbe fare Petrangeli sindaco è capeggiare una squadra di ragazzi e di volenterosi che lo ridipingano togliendo quel triste color grigio “galera”. Se quell’istituto diventerà  un istituto modello, libero da violenza e suicidi, ricco di iniziative di integrazione sociale e non di mero intrattenimento dipenderà  anche da chi vincerà  le elezioni a Rieti. La regia deve essere necessariamente bicefala: statale e comunale insieme. La nostra giornata carceraria non è finita nell’istituto penitenziario. È proseguita nella sede del Movimento cristiano dei lavoratori, ancora a parlare di carceri, suicidi, amnistia in un parterre che andava dall’Arci ai Radicali.
Non è consueto, dicevo, passare una giornata a parlare di carcere con un candidato sindaco, dalle buone chance, a pochi giorni dal voto. Mentre camminavamo per riprendere l’auto e ripartire per Roma, ho capito che Simone Petrangeli ce la può fare. È giovane, sorride, guarda in faccia le persone, è di sinistra, non sta a soppesare le parole, per strada tutti lo salutano per nome. Il suo comitato elettorale è vivo di ragazzi che gli danno una mano, per passione. Confesso che conosco il fratello di Simone da più di un decennio. Ci accomuna una passione per i diritti. Da qualche tempo Federico aiuta i bambini sotto i tre anni del carcere romano di Rebibbia a trascorrere ore meno infelici di quelle che il destino e la legge gli hanno assegnato. Chissà  che dopo Zedda e Pisapia, anche nel Lazio non vi sia un sindaco di sinistra.


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