La cortina fumogena della crescita dopo il voto francese

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Quello di far elevare cortine fumogene. Crescita, crescita, è il grido che risuona a Francoforte e, più moderatamente, perfino a Berlino. Mario Draghi, però, ha chiarito subito per i distratti che nulla era cambiato nell’approccio della Bce. Il Governatore, infatti, già  dopo il primo decreto del governo Monti, e le analoghe misure spagnole, che seguivano quelle, ben più dure, greche, aveva espresso la sua insoddisfazione per le riduzioni dei deficit ottenute con aumenti di tasse. Già  allora aveva espresso l’opinione, ribadita ieri a chiarimento delle sue dichiarazioni, sulla necessità  di una strategia di crescita, che la riduzione dei deficit andava perseguita con il taglio delle spese improduttive. Notare la finezza dell’eufemismo. Chi può non essere d’accordo nel tagliare spese improduttive, se poi questo taglio va a favore di spese per investimenti? In realtà , per Draghi spese improduttive non vuol dire altro che spese correnti, quelle per scuola, sanità  etc etc. È peraltro incomprensibile per quale mistero glorioso aumentare le imposte è recessivo, mentre tagliare le spese non lo è. Nella visione ortodossa le spese correnti dello Stato sono solo consumi, che utilizzano risorse date. Dio solo sa chi e perché dovrebbe produrre quei beni consumati dai dipendenti statali, quando venisse meno la domanda di quei soggetti. Questo è il dogma grazie al quale il governo Cameron ha strozzato la debole ripresa inglese e ha mandato l’Inghilterra in recessione. La tesi ampiamente smentita era che, liberando – per così dire – risorse, gli investimenti privati sarebbero subentrati. Come era fin troppo facile prevedere, ciò non è successo. L’Inghilterra, invece, da il suo contributo alla recessione europea che si sta approfondendo. Ciononostante, il fatto che la parola crescita risuoni è significativo. Innanzitutto è indice della coda di paglia della dirigenza politica europea. Sanno che le misure fiscali imposte sono recessive, ma incominciano a temere che la scommessa di una recessione breve e – per loro – politicamente indolore sia a rischio. La scommessa, infatti, era basata su previsioni sbagliate. I modelli macroeconomici che incorporano la teoria ortodossa escludono per costruzione gli effetti moltiplicativi negativi su reddito, occupazione e scambi internazionali, che una politica di rigore fiscale comporta, come ben sa invece la teoria di ispirazione keynesiana. Da cui il tentativo di portare avanti la scommessa passando dalla retorica del rigore a quella della crescita. Ma sempre e solo di retorica si tratta. Eppure soluzioni ci sono, anche se sono quelle che dispiacciono a Draghi e Merkel, come ribadito ieri e oggi anche da Monti. La soluzione per l’immediato futuro esiste già : emissione di eurobond, e quindi mobilitazione di risorse finanziarie. Esclusione della spesa per investimenti dal deficit statale. Utilizzo delle risorse per lanciare piani di infrastrutturazioni. Che non necessariamente devono essere grandi opere, bensì quelle opere che garantiscono il miglior risultato in termini di reddito e di occupazione. Al tempo stesso è necessario che lo scontento e la rabbia crescenti vengano incanalate per raggiungere quest’obbiettivo. Il punto non è se si possa tornare a politiche keynesiane come prassi costante, così come fu nel primo trentennio post-bellico. Ovviamente, dato lo sviluppo abnorme di mercati finanziari mondiali e del loro peso nel determinare le politiche economiche dei singoli stati, è molto improbabile che ciò avvenga. Ma il problema è come fermare la recessione qui e adesso, e come fermarla a favore di lavoratori e di redditi medio-bassi; tenendo presente che, come ci dicono i giudizi delle agenzie di rating, quegli stessi mercati finanziari incominciano a dubitare della bontà  delle conseguenze delle politiche di austerità  richieste. Poi, come si dice in russo, ci preoccuperemo in ordine cronologico di cosa fare dopo. Qualcuno ha fatto notare che l’intesa tra Hollande, il tedesco Gabriel e Bersani sulla revisione del fiscal compact, e l’impegno di Bersani e del Pd a sostenere il governo Monti, a sua volta convinto sostenitore del patto fiscale europeo, c’è contraddizione. Ci si chiede come uscirne. Le strade sono due: o si rinuncia alla revisione del patto o si rinuncia al governo Monti. Magari con una subordinata: Monti Presidente della Commissione europea potrebbe costituire invece un punto di mediazione tra le istanze di revisione e la linea tedesca della conservazione del patto. I prossimi mesi ci chiariranno l’alternativa.


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KATHA POLLITT SCRITTRICE ED EDITORIALISTA DEL SETTIMANALE «THE NATION»
NEW YORK. Considerato più flessibile, meno ideologico, perché tendenzialmente più reattivo alla contingenza del presente il «voto femminile» è sempre uno degli oggetti più contesi di un’elezione Usa. Il 2012 non fa eccezione.

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