Il divenire vivente di Vladimir Jankélévitch

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Questi versi di Baudelaire, dedicati ad una passante sconosciuta rappresentano perfettamente il sentimento di incompiuto che permane come sfondo, assumendo il carattere di metodo di una filosofia sconfinata nei temi e delle conclusioni, accennando, recando con sé necessità  e incertezza come poli di una riflessione lunga, cui perviene il continuo interrogarsi, l’incertezza, la precarietà , l’inafferrabilità  assunta a paradigma di una riflessione lunga che ha attraversato una fetta consistente del Novecento. Nell’era della società  liquida il pensiero di Vladimir Jankélévitch, filosofo francese di origine russa e matrice ebraica ritorna ad interrogarci in maniera ineludibile sulla condizione contemporanea.
Il recente volume, Da qualche parte nell’ incompiuto (Einaudi, pp. 215, euro 22), costituito da una lunga intervista al filosofo operata da Béatrice Berlowitz, sua allieva e scrittrice, affronta alcuni dei temi centrali che conducono al cuore del pensiero di Jankélévitch. Concepito come un percorso tematico che procede per analogie e fratture, affronta questioni attinenti alla filosofia morale, alla riflessione politica, all’analisi letteraria, all’esperienza musicale, fino a trovare un epicentro nell’interrogazione sull’esperienza quotidiana. L’Occasione viene descritta come un lampo fuggitivo, inafferrabile come una stella cadente, l’irrompere della novità  che dura lo spazio di un lampo per poi disperdersi in una miriade di frammenti. Come Juan De la Cruz, Jankélévitch è consapevole che difficilmente ciò che è svanito tornerà  a incrociarsi di nuovo con la nostra vita. Ma questo atteggiamento non va confuso con la caducità  delle apparenze tipico del relativismo etico. Le scelte biografiche di Jankélévitch dimostrano semmai il contrario. 
Iscritto al Fronte popolare, il filosofo, in occasione della promulgazione delle leggi razziali in Francia, entra in clandestinità  e combatte nella Resistenza. Dopo la guerra, il suo impegno nella sinistra non viene mai meno, fino al Sessantotto e alla battaglia in difesa dell’insegnamento della filosofia nei Licei. Un pensiero poetante, quello di Jankélévitch, in grado di restituire con efficacia le sottili sfumature dell’esistenza e allo stesso tempo il persistere di un’intransigenza etica. Lezione appresa da Henry Bergson, la realtà  è restituita come un flusso temporale in continuo mutamento che esclude la possibilità  di accedere all’essenza ultima delle cose, che resta imperscrutabile e ineffabile. È questo il motivo per il quale nella nostra vita abbiamo piena libertà  di comportamento e tutta la responsabilità  delle nostre azioni, senza restare imprigionati in rigide griglie normative. Jankélévitch rifiuta tuttavia la chiusura in una condizione di assoluta immanenza come sembra accadere a Gilles Deleuze, al quale è legato dalla medesima matrice bergsoniana. Altro punto da considerare per entrare nel nucleo centrale di Jankélévitch è l’idea che la sfera del mistico non trascende il piano della vita quotidiana ma si fonde con essa. La relazione contraddittoria che lega musica e silenzio ne è un esempio: non solo la musica è circondata, scandita, inaugurata dal silenzio ma, nel suo fondo inascoltato, è anch’essa silenzio. Come in una partitura, solo la capacità  di seguire il battito dell’esistenza consente di alternare rigore e duttilità , funzionalità  e saggezza, sentimento dell’abisso e serenità .


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