Blitz in Commissione sull’art. 18 per eliminare l’autonomia dei giudici

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Al punto da sollevare la timidissima protesta di Cesare Damiano, capogruppo del Pd in Commissione lavoro alla Camera: «emendamenti in tema di licenziamenti non possono mettere in discussione l’equilibrio raggiunto». Si intende: il compromesso tra Abc (Alfano, Bersani Casini) e governo, non certo un equilibrio» annullato tra impresa e lavoratori.
La novità  è stata comunicata al mondo dal relatore in Commissione lavoro, il pidiellino Maurizio Castro, che si è schermito dicendo che «Pd e Pdl non hanno presentato modifiche all’articolo 18», in realtà  alla nuova formulazione prevista dalla «riforma del mercato del lavoro», che di fatto lo cancella. Il governo stesso, però, si sarebbe preoccupato di «ridurre il potere discrezionale dei giudici nel caso di licenziamenti disciplinari». Visto che questo potere già  non sembrava eccelso (limitato sostanzialmente ai casi di «chiara discriminazione», peraltro vietata dalla Costituzione), se ne può dedurre che la modifica sia diretta a imporre al magistrato una soluzione prefissata. Visto l’impianto generale, negativa per il lavoratore.
In secondo luogo, Castro ha obliquamente annunciato anche altre modifiche per «venire incontro ai rilievi dei tecnici del Senato, che evidenziavano rischi di minori tutele durante il processo» per i lavoratori licenziati. In questo caso, l’intervento dovrebbe riguardare le differenze create dalla nuova norma rispetto alla vecchia nei processi attualmente in corso. Ma l’obliquo Castro non ha chiarito in quale senso.
Assolutamente chiara, invece, la batteria di emendamenti presentata dal Pdl per aumentare la «flessibilità  in entrata» (ovvero la precarietà  contrattuale). Circa 300 emendamenti concentrati su quattro punti: le partite Iva (che nel testo del governo venivano considerate «lavoro subordinato» dopo sei mesi di mono-committenza), l’apprendistato (che veniva in qualche modo ricondotto alla sua causale originaria, trasformandolo in contratto a tempo indeterminato dopo «soli» 3 anni), i contratti a tempo determinato (per cui anche venivano previsti limiti non insuperabili in direzione dell’«abuso») e infine il job on call (contratto pochissimo usato proprio per l’oggettiva difficoltà  organizzativa).
Insomma: il Pdl sa cosa «serve alle imprese» che non hanno immaginazione né capacità  innovativa, e quindi puntano tutto sulla pura riduzione – verso lo zero – del salario e dei diritti. Dal lato Pd, invece, nessun contrasto reale. Anzi, come spiegava ieri sera Tiziano Treu – l’inventore del «pacchetto» che ha sfondato la diga del «caporalato legalizzato» – «i nostri emendamenti saranno rivolti a garantire la ‘buona flessibilità ‘». Persino il lessico è subordinato al governo…


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