Un giorno di tregua, in attesa di Parigi e Atene

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Ieri c’è stata la resurrezione delle borse ad appena 24 ore dalla morte nel «lunedì nero». Per capirci qualcosa, prendiamo a prestito le parole di Jean-Paul Fitoussi, che ieri ha spiegato: «I mercati ballano perchè così guadagnano molto, dove c’è volatilità  guadagna la speculazione, cercano quindi solo un’occasione per fare l’altalena: la settimana scorsa era la Spagna, questa settimana la Francia, la prossima settimana sarà  l’Irlanda. Il problema è che è l’Europa a permetterlo e il fiscal compact non ha risolto il problema». 
Sul breve periodo non fa una grinza. E sotto accusa finisce la «politica del rigore», sponsorizzata dal duo Merkel-Sarkozy sul piano politico e dalla troika Fmi-Bce-Ue su quello davvero decisionale. In pratica, la «speculazione contro l’Europa» appare inarrestabile per un solo motivo: «l’Europa ha accettato di mettersi sotto il controllo dei mercati finanziari». Il «voto» dei mercati ha quindi rapidamente sostituito quello dei popoli, come nei programmi.
Ieri se n’è avuta una piccola dimostrazione. Erano attese le aste in cui Italia e Spagna (ma anche l’Olanda, appena entrata in crisi politica e con un debito pubblico inspiegabile per dei «professorini del rigore» come i boeri) collocavano titoli di stato: e sono andate bene. Piazzati tutti i titoli in agenda, gli spread sono scesi… ma i rendimenti sono aumentati. Nelle stesse ore andavano guadagnando terreno tutte le borse, a partire dalle banche – che pure sono piene di bond dei «paesi a rischio» – ma evidentemente risentono del fatto che «il mercato» lo fanno loro. In primo, ma non unico, luogo.
Milano ha guadagnato il 2,48% (molto meno del quasi 4 perso il giorno prima), e in generale le piazze dei paesi «target» hanno fatto meglio di quelle «sicure» per lo stesso motivo. Lo spread, che era salito sopra i 400 punti, è tornato sotto (ma a 399, nel caso qualcuno si distraesse). Ma sono tutti fenomeni ritenuti marginali, quasi ininfluenti.
Al contrario, con maggio si entra nel pieno della toto-politica. Il 6 si vota sia per il ballottaggio in Francia che per le politiche in Grecia. In entrambi i casi ci si aspetta un equilibrio politico meno prono ai voleri dei mercati. Magari da destra, anziché da sinistra. Ma ufficialmente meno sdraiato. Non ci sono particolari timori sul fronte di Parigi (al di là  delle sciocchezze dette lunedì, utili a nascondere difficoltà  ben più «strutturali»). Mentre qualche preoccupazione in più la dà  la Grecia, a un passo dall’ingovernabilità  – Pasok e Nea Dimocratia (Pd e Pdl, insomma) – potrebbero non raccogliere insieme nemmeno il 50%. Sarebbe un problema, certo, ma commisurato al 2% del Pil europeo che Atene rappresenta. Per la speculazione, direbbe Fitoussi, sarà  comunque un’ottima occasione.


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