Pd, su fiscal compact «il vento» rischia di diventare una bufera

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Ma la soddisfazione piena di domenica sera si trasforma in cautela di lunedì. «Adesso c’è il ballottaggio. Si vedrà ». Il senso della vicenda francese è comunque chiaro, per il segretario: «A dispetto delle differenze di meccanismi elettorali in Europa, in Francia e in Italia, la cosa sarà  una sola, e cioè progressisti e democratici moderati che confluiscono contro destre inconcludenti e populiste. Bisogna convincersene anche in Italia».
Il problema è che per primi, da noi, se ne devono convincere i dirigenti del Pd. Che sulle alleanze hanno idee opposte. Tutte variabili dipendenti della legge elettorale, a sua volta dipendente dall’assetto dei partiti di centro e destra che uscirà  dal dopo-comunali. 
Bersani aspetta, attestato sulla formula generica della confluenza fra progressisti e democratici. Non aspettano invece i dirigenti Pd per interpretare il «vento di Francia». Cauto Paolo Gentiloni, ex rutelliano: «La vittoria di Hollande, se ci sarà , sarà  una svolta per l’Europa. Ma al mio partito dico: non esageriamo il senso di questo risultato». Debora Serracchiani, franceschiniana: «L’avanzata dei progressisti in Europa è una buona notizia, ma da qui a scorgere qualsiasi lontana analogia tra la situazione francese e quella italiana, del centrosinistra e del Pd in particolare assai ce ne corre». Giorgio Merlo, centrista pure lui: «Cosa c’entra la sconfitta di Sarkozy con la necessità  di dar vita in Italia ad un vero centrosinistra che non sia la riedizione del caravanserraglio dell’Unione? Nulla». Gli ex dc auspicano a Parigi l’alleanza fra socialisti e il moderato Bayrou, che a Roma significa quella con Casini. Sfortunatamente per loro, e per Hollande, Bayrou ha perso tre milioni e mezzo di voti. Invece per l’alleato Vendola, hollandiano di ferro e fautore dell’alleanza a sinistra la vittoria del candidato del Ps può provocare «un sussulto di ragionevolezza per la politica italiana: se puoi scegliere puoi sperare di cambiare, se non si può scegliere, ingabbiati dai Monti e dalle Abc, non puoi sperare di cambiare», come dice Gennaro Migliore. E quello che c’è da cambiare, per Sel, è il «fiscal compact», il patto del rigore Ue che entrerà  in funzione se entro quest’anno verrà  ratificato da almeno dodici membri dell’eurozone. Hollande ha giurato che non lo ratificherà  «se non conterrà  misure per la crescita».
Argomento tutt’altro che pacifico, nel Pd. L’hollandismo di Bersani rischia di mettere in crisi il patto di lealtà  fra il Pd e Monti. Il presidente del consiglio infatti è tutt’altro che contrario al fiscal compact. Così ieri il liberal veltroniano Enrico Morando («liberalsocialista», precisa lui), ha auspicato che Hollande non contesti «il rigore» e non si rifiuti di ratificare il trattato ma chieda «di rafforzarlo sul lato del sostegno alla crescita». 
Fra i filo-montiani del Pd c’è chi va ben oltre. Marco Follini a più riprese ha ricordato al segretario che quel trattato ha il sì del premier «e condiziona l’agenda del governo che noi sosteniamo in parlamento». Difficile non ratificarlo senza togliere l’appoggio a Monti. Non è così, giura invece Stefano Fassina: «Il fiscal compact non funziona e va corretto aprendo il capitolo degli investimenti europei. In caso contrario non ci sarà  neanche bisogno di atti unilaterali per cancellarlo: si disapplicherà  da solo, come già  dimostrano i casi di Olanda e Spagna». Quanto a Monti, il responsabile economico del Pd notoriamente non è fra i suoi fan «ma va riconosciuto a Monti di aver attenuato norme ancora più ottuse che derivavano dalle scelte del governo Berlusconi».


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