Parigi e Amsterdam affondano le Borse bruciati 160 miliardi, Milano -3,8%

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MILANO – Una seduta negativa per Borse europee. Di quelle non più viste dall’autunno. Stessi ingredienti: parole e fatti forieri di incertezza politica, rialzo dei rischi sovrani periferici, aumento dopo mesi della volatilità  (misurato dall’indice Vix “della paura”), crollo dell’azionario, specie le banche. Bilancio: 160 miliardi di euro di capitalizzazione in meno per l’indice Stoxx 600 paneuropeo, con crescenti divisioni tra chi vorrebbe politiche di spesa, e chi prima il rigore dei conti.
Le due notizie che hanno armato i venditori sono di matrice politica e spaventano perché rimettono in discussione l’euro quale moneta forte eretta sull’asse franco-tedesco. Il primo turno delle elezioni presidenziali in Francia ha fatto capire che i francesi sono stufi della destra di governo, e probabilmente a maggio Nicolas Sarkozy non sederà  più all’Eliseo. In Olanda invece il governo si è dimesso già  ieri, dopo che l’estrema destra ha tolto voti e ossigeno facendo fallire il negoziato per la riduzione, chiesta dall’Ue, del deficit. Anche l’esecutivo olandese, guidato dal liberista Mark Rutte – un ex manager filoamericano – era in asse con la Germania. Ma il rimordere della crisi ha aizzato il leader del Pvv, partito xenofobo ed euroscettico che ha tolto la spina: «Il partito della libertà  è unito contro i diktat di Bruxelles – ha detto Geert Wilder – e determinato a respingere gli attacchi contro i nostri anziani». Se Parigi e Amsterdam cullassero linee più keynesiane sarebbe difficile per i tedeschi continuare a imporre ai paesi periferici d’Europa la cura del rigore, che può ammazzare il paziente (come lo stallo italiano, giunto dopo la fase di luna di miele del governo Monti, dimostra).
Per questo ieri l’azionario ha aperto con indici giù di circa l’1,5%, e chiuso doppiando i ribassi. Nel frattempo c’era stata, anche, l’inattesa flessione dell’indice Pmi Eurozona, sceso in aprile ai minimi da cinque mesi. Come di rado accade, anche l’euro ha risentito della debolezza europea: la valuta unica è scesa a 1,3129 (1,3213 venerdì), con lo yen giapponese si è fermata a 106,51 (da 107,8). Piazza Affari, per le caratteristiche di Borsa “bancocentrica”, ha perso più di tutte: -3,83% l’indice Ftse Mib, sui minimi da cinque mesi e sotto 14mila. Travolti i titoli finanziari con Unicredit in calo del 6,42%, Intesa Sanpaolo del 6,29%, Bpm del 5,59%, Banco popolare del 5,79%, Generali -2,68%. Diversi gestori sono stati visti liquidare in perdita posizioni “lunghe” sui finanziari prese solo un mese fa. Maglia nera a Stm che ha perso il 14%, pagando caro l’accordo con St-Ericsson che le farà  incorporare attività  e addetti. Pessimo anche l’andamento dei rischi paese, cresciuti ovunque: 409 punti base il Btp-Bund, 436 punti il Bonos spagnolo, 146 l’Oat francese. Di contro, una nuova fuga dal rischio ha portato il 10 anni tedesco al nuovo minimo nominale (1,63%), e il Bund due anni allo 0,09%, sotto il titolo giapponese. Pochi vedono, all’orizzonte, motivi di rapido ottimismo; forse quello tra gennaio e marzo era solo figlio dei 1.000 miliardi di euro profusi dalla Bce alle banche. Da parte sua il governatore della Bundesbank Jens Weidmann continua a giocare la parte del falco: «La generosa offerta di liquidità  della Bce – ha detto in più interviste – non sia motivo, per banche o governi, di rinvio delle necessarie misure di aggiustamento. Le banche devono ripulire e rafforzare i bilanci, i governi attuare velocemente riforme strutturali adeguate e risanare in modo credibile i conti. La politica monetaria non può sostituire i piani».


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