India, primo spiraglio per i marò la Corte suprema ammette il ricorso
Adesso c’è spazio per un sorriso vero, nel carcere indiano di Trivandrum. Un po’ perché stavolta il maresciallo Massimiliano Latorre sui giornali indiani c’è finito per un «gesto eroico», evitando che un piccolo risciò in manovra travolgesse in retro un fotoreporter maldestro; ma soprattutto perché la Corte suprema di New Delhi ha ammesso il ricorso italiano contro la detenzione dei marò, accusati dagli inquirenti dello stato meridionale del Kerala di avere ucciso due pescatori a caccia di tonni. Il garbuglio sulla matassa diplomatica e giudiziaria comincia finalmente a dipanarsi. Al di là di quel che realmente successe quel dannato pomeriggio in mare, sarà la massima autorità giudiziaria indiana a decidere se tocchi alla magistratura del Kerala o a quella italiana giudicare Latorre e Salvatore Girone.
Sono i primi frutti raccolti dalla Farnesina, che ha cercato in tutti i modi di spostare il baricentro della vicenda dal Kerala alla capitale New Delhi, con cui è più proponibile far valere le proprie ragioni diplomatiche e giurisdizionali. Il Kerala sostiene infatti di essere pienamente competente perché indiane sono le due vittime e il porto in cui è ormeggiata la nave; Roma replica che i fucilieri del San Marco si trovavano su una nave battente bandiera italiana in missione anti pirateria, e che tutto è avvenuto in acque internazionali. A decidere sarà ora la Corte suprema, che ha ammesso il ricorso italiano invitando il governo federale indiano e quello statale del Kerala a presentare una memoria per l’udienza dell’8 maggio. «Un passo nella direzione giusta», ammette il sottosegretario Staffan de Mistura, mentre il ministro Giulio Terzi ieri a Giacarta incassava il sostegno del collega indonesiano Marty Natalegawa, che si è offerto di far da tramite «comunicando in modo appropriato la prospettiva italiana».
Ma Indonesia a parte, i segnali che si stia aprendo uno spiraglio concreto sono forti e convincenti. Nelle scorse settimane due cappellani militari, dopo aver visitato i marò a Trivandrum, sono andati a Kollam dalle famiglie dei pescatori uccisi, i cui avvocati avevano fatto ricorso e opposizione a ogni sentenza favorevole all’Italia. Un «gesto privato» seguito poi da un accordo con cui il governo italiano ha promesso 300mila euro alle due famiglie abituate a sopravvivere con una cinquantina di euro al mese: 500 anni di stipendio anticipato. Nel frattempo, mentre gli inquirenti del Kerala stringono i nodi su una perizia sfavorevole ai marò e la magistratura locale prende tutto il tempo possibile, l’Italia va in Corte suprema con una superstar dei fori indiani, l’avvocato Harish Salve.
L’8 maggio si riunisce la Corte suprema e potrebbe mettere la parola fine prima che il 14 tocchi al giudice locale di Kollam, che non potrà più prolungare il fermo: o rinvia gli imputati a giudizio o li lascia liberi. Latorre e Girone potrebbero essere consegnati alle autorità italiane e rientrare a Roma: li attende un’indagine preliminare per omicidio volontario.
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