Suicidi per la crisi, non solo questioni economiche

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Grandi manifestazioni di solidarietà  si sono svolte ad Atene. La situazione però resta la stessa e ci descrive un quadro drammatico che colpisce tutte le fasce della popolazione ellenica, in particolare i bambini e gli anziani. Lo stesso giorno a Roma accadeva un evento tristemente identico anche se meno eclatante: Mario Frasacco, 59 anni, titolare di un’azienda di progettazione di alluminio con i dipendenti in cassa integrazione, si sparava pare per debiti con il fisco.

In Italia stanno creando scalpore analoghi gesti disperati, provenienti da ogni provincia della penisola, che non si contano più. Un fenomeno esteso anche ai piccoli imprenditori proprio di quelle zone del paese un tempo più dinamiche e produttive. È ovviamente la crisi economica, con la conseguente prolungata recessione, a tagliare le gambe a quanti non dispongono di grandi patrimoni e di risorse finanziarie alle spalle, e che devono quindi basarsi sui prestiti delle banche. Esiste inoltre una crisi di fiducia generalizzata che si traduce in una stretta sul credito a ogni livello: per le piccole imprese ciò significa dover offrire garanzie su garanzie ad istituti finanziari che erogano denaro con sempre maggiore difficoltà . Le aziende così sono costrette a chiudere. Eppure “dare credito” a una persona è condizione indispensabile per la costruzione di una società  fatta di relazioni umane improntate all’amicizia e alla collaborazione. Secondo Mohamed Yunusil credito è un diritto umano.

C’è un’altra ragione però che genera, almeno in Italia, questa insostenibile situazione. Paradossalmente gli artigiani non falliscono per debiti ma per la mancata riscossione dei crediti maturati nei confronti dei privati ma soprattutto degli enti locali e dello Stato centrale. Lo Stato è in perenne ritardo su questo punto e ormai ha raggiunto l’astronomica cifra di 70 miliardi di euro di crediti alle imprese non erogati (le stime oscillano tra i 62 e i 100 miliardi). Ciò significa una grave mancanza organizzativa dell’apparato burocratico dell’ente pubblico in generale, visto come inaffidabile e incapace di risolvere i problemi. Ai cronici ritardi dei pagamenti dovuti all’inefficienza, si aggiungono ragioni di contabilità  generale dello Stato.

“In linea di massima – afferma Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre– se lo Stato pagasse i 70 miliardi di euro che deve ai suoi creditori, il rapporto debito/Pil aumenterebbe di 4,3 punti percentuali, attestandosi attorno al 125%. Un risultato che, ovviamente, comporterebbe un aumento della spesa pubblica e il rischio di una caduta di credibilità  e di fiducia dei mercati finanziari nei confronti del nostro Paese. Tuttavia – prosegue Bortolussi – questi mancati pagamenti stanno mettendo in gravissima difficoltà  moltissime piccole imprese che, notoriamente, sono a corto di liquidità , con ricadute occupazionali molto preoccupanti”. Di qui capannoni vuoti, stabilimenti chiusi, licenziamenti generalizzati, suicidi di artigiani e imprenditori. Recentemente il governo con il ministro Passera ha messo in campo una serie di iniziative, anche tecnicamente complesse, per snellire l’erogazione dei crediti alle piccole imprese. La strada è ancora lunga. Occorre allargare lo sguardo.

Lo fa l’economista americano Paul Krugman che parla apertamente del “suicidio economico dell’Europa” in nome dell’austerità . In un articolo sul New York Times del 14 aprile il premio Nobel scriveva tra l’altro: “L’Europa ha avuto diversi anni di esperienza con duri programmi di austerità , ed i risultati sono esattamente ciò che gli studiosi di storia avevano detto che sarebbe successo: questi programmi spingono le economie depresse ancor più nella depressione. E perché gli investitori guardano allo stato dell’economia di un paese nel valutare la sua capacità  di ripagare il debito, i programmi di austerità  non hanno nemmeno funzionato come modo per ridurre gli oneri finanziari”. La via d’uscita di Krugman sarebbe l’abbandono dell’euro: ma noi invece speriamo in unrilancio dell’unità  politica europea e in una nuova stagione che potrebbe cominciare dalleelezioni presidenziali in Francia.

Tornando ai suicidi, sappiamo che ogni vicenda personale è diversa, anche se in questi fenomeni conta molto l’emulazione. Le rivoluzioni arabe sono state costellate da gesti simbolici di giovani che si sono dati fuoco per protesta. Così in Tibet – in uno scenario totalmente diverso per storia, cultura e contesto presente – abbiamo assistito a eventi analoghi con l’immolazione di molti monaci per la causa del proprio popolo. La globalizzazione delle informazioni tuttavia lega eventi che magari sono molto diversi tra di loro per le ragioni sottostanti ma che si accomunano immediatamente nell’immaginario collettivo, ormai privo di confini.

Si vuole rendere la propria disperazione patrimonio pubblico. La si vuole trasformare in politica. Anche in maniera inconscia. Quindi la risposta non può essere individuale o solamente economica. Deve essere politica, con un cambio generale di paradigma. Potenziare il settore delle banche etiche, progettare uno sviluppo che parta dalla dimensione locale, trasformare l’austerità  fiscale nella coscienza civica di pagare le tasse e nella sobrietà  di vita, puntare sulle filiere corte, sulle energie rinnovabili: solo così si può affrontare una crisi divenuta ormai sociale ed esistenziale.


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