Rajoy ammazza la sanità . E anche il re perde consensi

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La ministra competente del governo di Mariano Rajoy, Ana Mato, ha annunciato ieri che i pensionati, al momento esentati dal pagamento dei medicinali, dovranno sborsare il 10% del loro valore fino a un massimo di 8 euro al mese se il loro reddito arriva a 18mila euro e di 18 euro se supera questo limite. I lavoratori attivi dovranno continuare a pagare il 40% del prezzo dei farmaci ricettati se guadagnano meno di 18mila euro, ma il loro contributo sale al 50% se guadagnano fino a 100mila euro (il 60% per i pochi che guadagnano più di questa cifra). Con queste misure, che saranno approvate nel Consiglio dei ministri di venerdì, il governo conta di poter risparmiare 7 miliardi di euro, il 10% del budget destinato alla salute. In altre parole, è caduto un altro tabù che neppure Aznar si era azzardato a toccare: l’universalità  della sanità . Apripista, poche settimane fa, il governo catalano del partito della destra nazionalista Convergència i Unià³ (appoggiato anche dal Partido popular) che aveva introdotto per la prima volta il cosiddetto co-pagamento: 1 euro a ricetta. 
Ma questo straordinario taglio (in un paese che già  spende meno della media europea in salute: nel 2008, prima dei tagli, era il 6.5% del Pil contro una media Ue-15 del 7.3%) al governo non basta. La ministra ha annunciato anche una stretta sul cosiddetto «turismo sanitario», l’ultima fissazione della destra (gli stranieri che secondo il governo verrebbero in Spagna a farsi curare a sbafo). Naturalmente, dal governo si sono affrettati a smentire che la qualità  del sistema di salute pubblico sia in pericolo. Sbugiardati già  dal portavoce del Pp che nella commissione sanità  del Senato aveva dichiarato: «Non siamo più in campagna elettorale, e possiamo dire quello che davvero pensiamo», e cioè: «È una bugia dire che manterremo la massima qualità  spendendo meno». 
Una analoga smentita c’è stata l’altroieri riguardo alla scuola. Secondo il ministro competente, José Ignacio Wert, aumentare la soglia di studenti per classe (ora potranno arrivare a 36), non sostituire i professori che si assentino per meno di 10 giorni, togliere l’obbligo di offrire almeno 2 opzioni formative in tutte le scuole e diminuire lo stipendio dei docenti aumentando le ore di lezione: «Non incide sulla qualità  dell’educazione». 
Il governo di Rajoy ha proprio tutta l’aria di avere fretta. Fretta di approvare il prima possibile una batteria di misure regressive senza precedenti nella storia di questo paese. Forse perché, nonostante l’ampia maggioranza parlamentare di cui gode, il Partido popular è ormai consapevole di non avere una maggioranza sociale. Dopo lo sciopero generale del 29 marzo e le elezioni in Andalusia e in Asturia, che sembravano dovessero colorare di azzurro gli ultimi feudi ancora non in mano popolare, e dove il Pp ha chiaramente ottenuto molto meno di quanto si aspettasse, Rajoy inizia a temere il peggio.
L’ultimo segnale è arrivato lo scorso fine settimana, proprio il giorno dell’anniversario della proclamazione della seconda repubblica nel 1931, quando una asciutta nota della casa reale rendeva noto che il re aveva avuto un incidente durante un viaggio «privato» in Botswana. In una spirale crescente di imbarazzo, la Zarzuela, sede del capo di stato, aveva ammesso che il re si trovava lì per una caccia di elefanti. Il Mundo di ieri rivelava che era stato un magnate saudita a pagare i 37mila euro del viaggio. Lo stesso magnate che avrebbe fatto da intermediario pochi mesi fa per garantire alla Spagna il goloso appalto per l’alta velocità  tra Medina e la Mecca.
Per la prima volta si sono sentite voci critiche verso la monarchia persino nel solitamente istituzionale Psoe e i partiti di sinistra in parlamento hanno chiesto a gran voce la fine della monarchia. E per la prima volta in 34 anni, il re ieri ha chiesto scusa. La tensione sociale sta crescendo, e Rajoy e il re lo sanno.


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