Il governo: conti al sicuro Crescita e pareggio nel 2013
ROMA — I conti pubblici italiani sono al sicuro. E a prova di «fiscal compact»: secondo il governo l’andamento del debito e del deficit pubblico, che quest’anno sarà all’1,7 e il prossimo allo 0,5% del prodotto interno lordo, un po’ più del previsto, rispetterà pienamente i nuovi e ben più duri requisiti di bilancio stabiliti dal Consiglio europeo. Senza ulteriori manovre correttive, non ne sono in programma da qui al 2015, e anche nel caso di un ulteriore peggioramento del quadro economico interno e internazionale.
A certificare la tenuta della finanza pubblica alle nuove regole europee è il Programma di Stabilità , basato sul Documento di economia e finanza (Def) approvato ieri dal Consiglio dei ministri, appena trasmesso a Bruxelles. L’analisi dei vari scenari possibili in funzione dell’andamento della crescita, secondo l’esecutivo Monti, dimostra la sostenibilità dei conti italiani anche nel caso di una ulteriore flessione dell’attività economica. Con una crescita del prodotto interno lordo inferiore di mezzo punto alle previsioni appena aggiornate (-1,2% quest’anno, +0,5% nel 2013) il deficit si collocherebbe al 2% quest’anno e allo 0,8% nel 2013.
Tenuto conto dell’effetto negativo della congiuntura, in termini strutturali il pareggio del 2013 e del 2014 sarebbe comunque garantito, anche se ci sarebbero nuovi problemi a partire dal 2015, proprio quando scatteranno le prescrizioni del «fiscal compact». Un pacchetto di regole che invece non incute grandi preoccupazioni per il percorso di riduzione del debito pubblico. Secondo il governo, al ritmo garantito dal mantenimento del pareggio di bilancio e da un minimo di crescita dell’economia, la quota del debito che eccede il limite del 60% si ridurrà di un ventesimo l’anno, come richiesto dalla Ue, e anzi arriverà sotto il 60% nel 2025, un anno prima del previsto. Sarebbe tollerabile anche una deviazione da questo percorso, tenuto conto che nella necessaria valutazione degli «altri fattori rilevanti» che incidono sul debito, l’Italia è in ottima posizione rispetto alla media Ue: il debito delle imprese non finanziarie è pari all’81% del Pil, 20 punti sotto la media, mentre quello delle famiglie è pari alla metà della media europea.
L’asserita piena sostenibilità della finanza pubblica dipende per il governo dalle tre maxi manovre del 2011, che hanno comportato una correzione dei conti pubblici di portata mai vista (81 miliardi di tagli e nuove entrate solo nel 2014, pari a oltre 4 punti di Pil), e che scontano anche l’aumento dell’Iva di 2,5 punti tra quest’anno e il prossimo. Anche se hanno avuto un chiaro effetto depressivo sull’economia: secondo il Def il risanamento dei conti mangerà 2,6 punti di Pil da qui al 2014, un punto quest’anno, un punto l’anno prossimo, 0,6 nel 2014. E non solo perché le manovre ridurranno i consumi privati (-0,9% nel 2012, 3,5 punti nel triennio) e gli investimenti (4,7% in meno in tre anni) e faranno aumentare i prezzi (+1% nel 2012, +0,2% nel 2013). L’altra faccia della medaglia è rappresentata dalle riforme, possibili solo dopo aver messo in sicurezza i conti. Secondo il governo liberalizzazioni, semplificazioni, riforma delle pensioni, del mercato del lavoro e del sistema fiscale porteranno 2,4 punti di Pil in più da qui al 2020, gran parte dei quali (1,3 punti) concentrata nel triennio 2012-2014. Ed è sulla linea delle riforme che il governo proseguirà il lavoro dei prossimi mesi, per tentare un’accelerazione della crescita. Le direttrici le ha date il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera: le infrastrutture, con 70-80 miliardi di lavori rapidamente cantierabili, il pagamento dei debiti arretrati dello Stato (insieme alle banche si studia un piano per restituire alle imprese tra i 20 e i 30 miliardi), la revisione degli incentivi alle imprese (che saranno concentrati su due o tre meccanismi automatici basati sul credito d’imposta). Se il piano funzionerà potrà crearsi in futuro anche il margine per il calo delle tasse. A cominciare dalle accise sulla benzina, «uno dei tributi — ha detto Passera — che potremmo considerare di ridurre con i proventi della lotta all’evasione».
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