Se Passera riscopre il patrimonio pubblico

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Giustificato con la monocultura del fare cassa, si sta consentendo l’alienazione a prezzi stracciati di un compendio immobiliare di elevatissima qualità  urbana e ambientale. La grande svendita è in atto da oltre un decennio, dalle cartolarizzazioni di Tremonti a tanti altri provvedimenti, fino ai giorni dell’attuale governo.
Prima di diventare ministro, Corrado Passera esercitava un mestiere che lo obbligava a conoscere benissimo quei provvedimenti. Gli istituti di credito sono stati infatti i protagonisti del vorticoso giro di acquisti e vendite immobiliari che ha caratterizzato l’ultimo ventennio. Doveva dunque conoscere le leggi e gli elenchi delle proprietà  che via via i ministeri rendevano pubblici. E sa sicuramente che il suo Presidente del consiglio intende proseguire su quella sciagurata strada.Eppure, pur di uscire dalla difficoltà  durante un’intervista televisiva domenicale, il ministro ha dato fondo a tutta la sua abilità  dialettica.
Le sembra giusto – questo il senso delle sue parole – che lo Stato paghi miliardi di euro ogni anno in affitti mentre ha un gran numero di proprietà  che potrebbero essere utilizzate per gli stessi fini senza spendere nulla? E bravo ministro. Benvenuto nel convinto mondo dei difensori del patrimonio pubblico quale strumento per programmare il territorio e risparmiare risorse preziose. Già  che c’era, poteva anche esemplificare ricordando il caso delle torri del ministero delle Finanze dell’Eur che da un decennio erano state destinate alla valorizzazione immobiliare per farne abitazioni di lusso. Stavano per essere demolite, e da molti anni gli uffici sono stati trasferiti a caro prezzo in immobili privati. Milioni di euro all’anno che pesano sul bilancio dello Stato e ingrassano la rendita.
Con quelle parole, il ministro Passera ha sottoscritto un solenne impegno: prima di procedere alla vendita di qualsiasi immobile pubblico deve essere preliminarmente eseguita un’analisi se possano essere utili per risparmiare sugli affitti passivi o per risolvere i più gravi problemi sociali della popolazione. 
In questi giorni il Sole 24 Ore parla con evidenza di una «grave crisi abitativa» la cui dimensione è stimata in 580 mila alloggi. Il fiume di cemento che in questi venti anni ha devastato l’Italia non è dunque servito a risolvere i problemi abitativi delle famiglie più povere. Per la nostra cultura era scontato: è la mano pubblica a doversi far carico delle esigenze sociali. Sappiamo purtroppo come è andata la storia: la cultura liberista ha trionfato sostenendo che il mercato avrebbe risolto tutto. Oggi raccogliamo il tragico fallimento.
Coraggio allora, ministro Passera. Salga sulle torri delle Finanze ancora fortunatamente in piedi grazie alle proteste di preziosi comitati e imponga che vengano riutilizzate per gli uffici ministeriali. E, già  che c’è, ne destini una parte – anche piccola – ad abitazioni sociali. È solo con una lungimirante mano pubblica che si può uscire dalla crisi.


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