L’«offensiva di primavera»? Fa comodo a Nato e talebani

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In Afghanistan in modo stanziale ormai da oltre due anni, lavora in quello che è considerato forse il più accreditato centro di ricerca su tematiche politiche del Paese, un think tank diretto dal tedesco Thomas Ruttig che impiega nazionali e internazionali che hanno ormai una fittissima rete di contatti e che sono sufficientemente smaliziati per andar oltre una lettura ordinaria dei fatti. In un Paese dove la propaganda regna sovrana e il depistaggio è un’arma politica consolidata.
Cominciamo dagli attentati. Ormai tutti danno la colpa alla Rete Haqqani, il gruppo radicale più vicino ai servizi pachistani. Quindi danno, in un certo senso, la colpa a Islamabad…
È una reazione tipica puntare il dito sugli Haqqani, perché il loro ruolo in azioni simili è stato già  provato in passato e il modus operandi dell’ultima azione lascia pensare a una continuità . A livello politico invece, chiamare in causa gli Haqqani, come hanno fatto in questi giorni sia gli americani sia gli afghani, suggerisce un possibile mandante oltre confine. Il che funziona bene con gli afgani, che condannano unanimemente l’ingerenza pachistana, e serve a rassicurare le opinioni pubbliche occidentali sulla possibilità  di un negoziato con la leadership storica, quella di Quetta.
E se effettivamente l’attacco fosse da imputare ai talebani di Quetta, ossia al mullah Omar con cui si sta cercando di negoziare, e non agli Haqqani?
In effetti l’attacco è stato rivendicato da un portavoce ufficiale dei talebani e non c’era nessun’altra possibilità  a riguardo, in quanto gli Haqqani non si presentano mai come «diversi» ma solo come un fronte locale del movimento. Pensare che gli Haqqani stiano sabotando il negoziato portato avanti dalla leadership di Quetta è fuorviante. A parte il fatto che quest’ultima ha ufficialmente annunciato uno stop al negoziato – che non è per forza morto e sepolto – i talebani devono per forza di cose portare avanti azioni militari per una questione anche… di morale della truppa
Diciamo che sono “costretti” a farsi sentire, negoziato o meno?
Diciamo che la cosiddetta «offensiva di primavera» è diventato un appuntamento fisso che fa “comodo” a entrambi i contendenti: i talebani annunciano fuoco e fiamme mentre i comandi Isaf/Nato reagiscono minimizzando e sciorinando statistiche di un miglioramento della situazione soprattutto dal punto di vista militare. 
E il governo afghano?
Ha giocato sull’aspetto nazional-patriottico della vicenda, enfatizzando la prestazione delle forze di sicurezza nazionali. Karzai, con il suo solito fiuto politico, ha captato il bisogno di figure eroiche nella popolazione afghana e nei suoi ultimi discorsi ha lodato i suoi soldati e biasimato il fallimento dell’intelligence Nato. Bisogna infatti tener conto che il ritiro si avvicina e che ormai il presidente non può più cavarsela posizionandosi quasi a margine dello scontro. Kabul dovrà  assumersi maggiori responsabilità  nel conflitto anche alla luce degli ultimi accordi.
Qualche giorno fa Karzai ha parlato di un possibile anticipo delle presidenziali. Si vuole ricandidare?
La Costituzione non glielo permette, almeno nella prossima tornata elettorale. La Carta però non è chiara sulla possibilità  o meno di ricandidarsi dopo il mandato di qualcun altro. Un tentativo di cambiare le disposizioni costituzionali si potrebbe invece giocare subito sulla data del voto. Le elezioni sono previste nel 2014 ma la concomitanza con il ritiro delle truppe straniere ha già  sollevato la questione di un possibile rimaneggiamento delle date.
Karzai potrebbe cioè posporre la data a dopo il 2014?
Naturalmente, quando gli è stata posta la domanda, il presidente ha parlato solo di un possibile anticipo al 2013. Ma una volta cambiate le disposizioni costituzionali…


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