Come salvare i ciclisti «Auto a 30 all’ora e incroci più sicuri»
MILANO — Simone (copywriter) e Marco (giornalista) abitano a Milano. Beppe (architetto) sta a Torino, Valerio (informatico) a Firenze. Giselle (attrice) e Michelangelo (dipendente pubblico) a Roma. Hanno storie molto diverse ma accomunate da un gesto quotidiano: si spostano su due ruote. Per andare al lavoro, fare la spesa o accompagnare i figli a scuola usano la bicicletta. E il 28 aprile saranno alla Bicifestazione di Roma per raccontare le città viste attraverso gli occhi dei ciclisti e urlare il loro manifesto. Otto punti alla base della campagna londinese «Cities fit for cycling» del Times e rilanciati dai blogger italiani con il nome di manifesto #salvaciclisti: dai limiti di velocità a 30 km/h alla trasformazione degli incroci più a rischio, dai sensori per i Tir che entrano in città al ricorso anche a fondi privati per fare piste ciclabili.
Il loro punto di partenza è la sicurezza di chi si sposta su due ruote. Quei 2.556 ciclisti morti negli ultimi 10 anni e le migliaia che ogni giorno usano la bici per opportunità oltre che per una scelta di vita eco-sostenibile («la bici non inquina ma permette anche di muoversi più velocemente»). Da febbraio, da quando è nato il movimento, la campagna ha raggiunto i 16 mila sostenitori (da Margherita Hack a Jovanotti). I sindaci di alcune grandi città hanno dato la loro benedizione (da Milano a Roma e Firenze). Un disegno di legge bipartisan è approdato al Senato sostenuto da un centinaio di firmatari. Ma alla Bicifestazione del 28 aprile — ai Fori imperiali di Roma in contemporanea con un’iniziativa madre a Londra — saranno le storie di Simone, Marco e altri quindicimila (è la stima degli organizzatori) a parlare. «Ciclisti e pedoni insieme per difendere il proprio spazio di mobilità ».
Marco Mazzei, 48 anni, un lavoro a Segrate e 30 chilometri di pedalate al giorno, racconterà di una Milano dove la velocità può fare la differenza tra una città che aspira ad essere ciclabile («dagli eventi del Fuorisalone al debutto dei jeans Levi’s per ciclisti tutto parla di bici») e una città che lo è: «Spesso tra il vivere e il non vivere», dice mettendo le «aree 30» in cima alla lista delle sue priorità . «La civiltà ha un limite: 30 km/h», gli va a ruota Simone Dini, 28 anni, copywriter, 25 km di bici al giorno sempre per le strade milanesi. «Nelle città non c’è più spazio: saremo a Roma per chiedere di darne un po’ più a ciclisti e pedoni e un po’ meno alle auto». Beppe Piras, 39 anni, architetto e padre della Ciclofficina Abc, per la sua Torino vorrebbe «incroci ciclo-pedonali protetti e un commissario ad hoc», per tutti «il riconoscimento delle bici come mezzo di trasporto». Anche Giselle Martino, 30 anni, attrice che vive a Roma, ne fa una questione culturale. Lei ha iniziato a pedalare nella città più a rischio quando ha conosciuto Eva. «Poi Eva è stata uccisa da un taxi — racconta —. Lì ho iniziato ad avere paura: delle auto in doppia fila, di quelle che ti sfrecciano accanto o ti incalzano da dietro. Dei pullman. Poi però sono tornata in sella perché la bici è più veloce». Per andare al lavoro, fare la spesa. Michelangelo Almenti, 39 anni, dipendente pubblico, la usa anche per portare i bimbi all’asilo. La sua priorità : «Vietare l’ingresso ai mezzi pesanti, pullman inclusi». Va oltre Valerio Parigi, 50 anni, informatico che rappresenta la saldatura tra movimento e Federazione degli amici della bicicletta (Fiab). Lui che pendola tra Firenze e il Nord Europa vorrebbe una città ciclabile a livello di quelle Ue: «Come? Piste ciclabili continuative ma soprattutto aree di moderazione del traffico».
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