E l’Ue sbaglia i conti: statali sono la metà 

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Tutte le manovre della socialista Anna Diamantopoulou – il nuovo ministro di Sviluppo e Marina, guru degli ultraliberisti del Pasok ed ex commissario europeo – per isolare e dividere le varie categorie dei lavoratori nelle navi (marinai, cuochi, amministrativi, etc.) sono state un buco nell’acqua grazie alla compattezza della Pno e un’opinione pubblica favorevole agli scioperanti. 
Diamantopoulou e il presidente del Pasok Venizelos hanno utilizzato ogni mezzo per allontanare il fantasma dello sciopero dei marinai nei giorni in cui i greci riempiono le loro isole per festeggiare la pasqua ortodossa in piena primavera. Non hanno risparmiato parole molto pesanti contro il sindacato, che vuole garantire la sopravvivenza del suo ente di assistenza «la Casa del marinaio» contro la proposta di legge del governo che distrugge completamente – tra le altre cose – anche gli istituti previdenziali di categoria. Il fatto che quasi nessun armatore paghi i marinai passa quasi inosservato di fronte alla macelleria sociale sulle pensioni.
Subito dopo le elezioni anticipate la troika comincerà  a licenziare i primi 50mila statali. E alla fine cadono anche i grandi miti coltivati da Papandreou e Merkel sulla massa degli statali in Grecia, un’amorfa massa clientelare che secondo i disegnatori dei Memorandum arrivava al milione e mezzo di persone. Secondo i dati del ministro socialista della Riforma Pubblica e Governo elettronico Reppas, nell’amministrazione pubblica greca lavorano 636.188 impiegati fissi, 49.546 impiegati occasionali e altri 20.242 con i contratti più diversi. Un numero molto vicino alle percentuali degli altri paesi europei se paragonato con la popolazione. 
C’è pero chi in Grecia festeggia ancora. E naturalmente sono i banchieri, che hanno visto ieri le loro azioni chiudere con un salto del 21% grazie all’ultimo regalo delle garanzie di Papadimos e della troika per la ricapitalizzazione delle banche dopo pasqua. Un altro conto da pagare per i quasi 11 milioni di greci.


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I primi giorni di aprile di quest’anno, appena sopra l’equatore, mi trovavo nel cortile in terra battuta della Bunanimi primary school, la scuola elementare di un piccolo paese nella parte Sud Orientale dell’Uganda, non distante da Mbale. Avevo appena visitato un orto scolastico sotto un sole cocente che da un mese ritardava troppo l’arrivo della stagione delle piogge. Nella comunità  serpeggiava una certa preoccupazione, lì se non piove si rischia letteralmente di patire la fame. Nel cortile eravamo riuniti con i maestri, i bambini e i loro genitori per scambiare qualche parola. Intanto pensavo a quanto è difficile comunicare la complessità  di una cosa come Terra Madre, ma quanto invece sarebbe stato semplice se lì fossero stati con me tutti quelli a cui la racconto dal 2004, quando è nata.

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