Fisco, giustizia e istruzione: tre cose che si possono fare per attrarre investitori

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A dover diventare più «prevedibili» sono il sistema delle regole e l’apparato votato all’applicazione delle stesse: il legislatore e la pubblica amministrazione. La maggiore prevedibilità  evocata da Monti servirebbe a invertire un trend preoccupante: ci sono molte buone ragioni per investire in Italia ma vengono «bilanciate», in senso perverso, da una forte incertezza percepita. Gli investimenti diretti esteri, nel periodo 2005-2010, in Italia contavano per solo l’1,4% del Pil (Prodotto interno lordo), contro una media europea del 3,3%. Nella crisi, si sono ridotti sensibilmente, con un calo del 53% dei flussi in entrata, a fronte di una frenata di appena il 7% per i maggiori Paesi europei. In un mondo economicamente integrato, la concorrenza non è solo fra imprese: è anche fra sistemi-Paese. Che devono essere «magneti» di risorse. Quando non lo sono, il danno è duplice: non solo rinunciano all’apporto di capitali che potrebbero diventare occasione di crescita, ma isolano artificialmente le proprie imprese. Una forte presenza di aziende a dimensione internazionale aiuta a crescere le imprese nazionali, le inserisce appieno in una supply chain che ormai è globale, agevola lo scambio osmotico di buone pratiche. Ecco perché, giustamente, il governo fa proprio questo tema. La riforma del mercato del lavoro, in questo quadro, è una priorità . Ma non è la sola. Le imprese a capitale estero di Confindustria ne hanno individuate altre. Non per sostituirsi al legislatore, ma per indicare problemi e ambiti d’intervento che nei prossimi mesi potrebbero diventare oggetto dell’azione di governo. Su tutti, tre: Fisco, giustizia, istruzione.
Fisco. In Italia c’è un’aliquota in più: la complessità , quando non la farraginosità , del nostro sistema fiscale. Il costo nascosto della lealtà  fiscale è un forte svantaggio competitivo. Un primo passo per rassicurare gli investitori internazionali potrebbe essere l’apertura di un canale ad hoc, da parte del governo: le imprese lamentano spesso l’assenza di una controparte adeguata, in grado di comprendere le complessità  di un’impresa multinazionale.
Giustizia. Il costo della durata del contenzioso è un fattore fondamentale, per gli investitori. Il combinato disposto di norme opache e giustizia lenta crea incertezza: l’ingrediente primario della corruzione, la peggiore delle piaghe che uccidono un Paese. Bisogna riuscire a migliorare l’enforcement almeno attraverso meccanismi di specializzazione all’interno dei tribunali che snelliscano i tempi attraverso una più efficace divisione del lavoro.
Istruzione. Se dobbiamo puntare sui talenti, non possiamo che favorirne un migliore e più rapido inserimento nel mondo del lavoro. A cominciare dalla testa: chi ha un master o un dottorato di ricerca dovrebbe essere meglio accompagnato a rendere «spendibile» la professionalità  che si è conquistato. La leva fiscale è lo strumento privilegiato per aiutare l’occupazione di qualità . Più in generale, vale per l’università  quello che vale per tutto il Paese. La prima conferma del fatto che un Paese funziona bene per chi ci vive, viene dalla disponibilità  di altri a trasferirvicisi. Dobbiamo cominciare ad attrarre anche studenti stranieri: ci serve più capitale e più capitale umano internazionale. La storia che abbiamo alle spalle è quella di una nazione straordinaria. Se questa storia deve proseguire, fare impresa in Italia deve tornare a essere un’avventura emozionante. L’imprenditore deve portare sulle sue spalle tutti i rischi delle sue scelte e delle sue decisioni: non un’«incertezza-Paese» sempre meno sostenibile. Gli investitori esteri per venire in Italia non chiedono che questo. Non meno regole: regole migliori, cioè regole più chiare. Perché tutti, imprese italiane e imprese estere, possano dare di più all’Italia.
*Presidente Investitori Esteri Confindustria
Presidente Eni


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