Doccia fredda sulla ripresa Usa, lavoro in frenata

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NEW YORK – È una frenata, imprevista e preoccupante. Dopo tre mesi di robusta ripresa sul mercato del lavoro, a marzo l’economia americana ha deluso le aspettative. Il saldo netto fra nuove assunzioni e licenziamenti è stato sì positivo, con la creazione di 120.000 nuovi posti di lavoro. Ma le attese erano di una cifra quasi doppia: 205.000 posti. Ci si aspettava cioè che marzo avrebbe proseguito la serie positiva del trimestre precedente, durante il quale la creazione netta di occupazione era stata sempre ben al di sopra delle 200.000 unità  mensili. 
Il dato di marzo getta un dubbio sulla solidità  e il vigore della crescita americana, fin qui l’unico di raggio di sole in un mondo dove l’Europa è in recessione e anche i Brics rallentano. Non consola il fatto che, nello stesso mese di marzo, sia continuato a scendere il tasso di disoccupazione, dall’8,3% all’8,2%. Quest’ultimo è un indicatore ingannevole, perché il tasso di disoccupazione è misurato sulla forza lavoro, la quale si abbassa se i disoccupati scoraggiati cessano di cercare un impiego e così facendo scompaiono dalle statistiche. Il dato di marzo è inquietante perché sullo sfondo c’è una disoccupazione totale che resta molto elevata: sono più di 12 milioni gli americani senza lavoro. Per riassorbire una tale massa di disoccupati più le nuove leve, l’America deve generare ben oltre 200.000 posti in più al mese. Del resto due anni dopo una recessione “normale”, le riprese “normali” in passato creavano occupazione a ritmi più sostenuti. Si conferma così che quella del 2008-2009 è stata diversa da una recessione ciclica e fisiologica. Le recessioni scatenate da crac finanziari, come appunto quella del 2008, hanno sempre dei periodi di convalescenza più lunghi e sofferti. Di certo il dato di ieri smorza il clima di ottimismo che regnava negli Stati Uniti dall’inizio dell’anno, e che aveva alimentato un rialzo record della Borsa. Ieri Wall Street era chiusa per il Venerdì Santo, ma sul mercato non ufficiale dei futures si è registrato un ribasso dell’ordine dell’1%. Il mediocre dato sull’occupazione viene ad aggiungersi ad altri due elementi di paura. Uno è la previsione di un ribasso nei profitti delle imprese Usa. L’altro timore circonda la politica monetaria. Il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha lasciato intendere che non verrà  prolungata la politica della “moneta abbondante a tasso zero”, il pompaggio di liquidità  nel sistema finanziario compiuto attraverso massicci acquisti di titoli del debito pubblico. Questa politica, detta “quantitative easing” (e che ha ispirato la Bce sotto la direzione di Draghi) era diventata una manna e perfino una “droga” per il sistema bancario americano, che ora sente i sintomi di una crisi da astinenza, al solo pensiero che l’aiuto della Fed stia per cessare.
La frenata del mercato del lavoro può avere anche dei riflessi cruciali sulla campagna elettorale, in vista della scelta del presidente il 6 novembre. La situazione economica, e in modo particolare quella dell’occupazione, ha un peso determinante sull’umore degli elettori. Ieri le reazioni politiche sono state immediate. Obama ha ammesso che il miglioramento della disoccupazione fin qui è insufficiente. «Ci saranno ancora degli alti e dei bassi», ha dichiarato il presidente, «e resta tanto da fare per ristabilire la sicurezza economica delle famiglie, dopo la più grave crisi economica dall’epoca della Grande Depressione». Il suo sfidante repubblicano, Mitt Romney, ha afferrato subito l’opportunità  di un attacco: «Il dato sul mercato del lavoro è debole e preoccupante», ha dichiarato il candidato in pectore della destra, «Milioni di americani stanno pagando un prezzo elevato per le politiche economiche di Obama». Ancora più duro il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, che ha accusato «il fallimento di Obama».


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