In due giorni Maroni si è preso il partito
Da oggi comanda l’ex numero due. L’oscar per il migliore attore non protagonista non glielo toglie nessuno, per anni l’ex ministro dell’Interno ha fatto la spalla suo malgrado al grande capo malato, e nel giro di due giorni ha saputo calarsi alla grande nella parte del salvatore della patria, cioé della Lega, come se negli ultimi venti anni avesse girato alla larga dai malfattori.
Gli è bastato leggere il copione scritto dai magistrati di Milano, Napoli e Reggio Calabria. E dettato ai giornali. Uno stillicidio di tragicomici maneggiamenti degni della peggior commedia all’italiana, con il figlio tonto – e la famiglia tutta – a gozzovigliare in Porsche o ristrutturare case sgraffignando assegni sotto il naso di tutti i politici leghisti, che in questi anni hanno solo pazientato facendo finta di non vedere. Quanto alla base, frignerà pure ma gli toccherà rifondare pure il linguaggio, «Roma ladrona» è già slogan del passato, roba primitiva. Tutti sanno che il figlio Renzo è una barzelletta vivente, e che sulla famiglia & friends (il cosiddetto cerchio magico) da anni se ne dicevano di ogni. I boss del partito sembrano sinceramente dispiaciuti, e forse lo sono perché Bossi per i leghisti è davvero un «mito». Lo stesso Maroni ieri lo ha abbracciato per dirgli «ti sostengo se ti ricandidi segretario» (forse è una leggenda, ma le leggende in casa Lega contano).
Poi, l’ex ragazzo che negli anni Settanta girava con l’eskimo e il manifesto in tasca, ha fatto sapere quale sarà il primo compito della sua rifondazione leghista, da subito: «Adesso ci mettiamo al lavoro per fare pulizia, andando a guardare i conti ed aprire tutti i cassetti». Come dire, li apro io che sono onesto e poi facciamo i conti. Quelli che sono già stati aperti dalle procure del resto non lasciano presagire nulla di buono per la famiglia che ha gestito il partito come una proprietà privata, affidandosi a un personaggio tragicomico come Francesco Belsito (il tesoriere che ha conquistato il capo perché gli portava le focaccine). Per ora sono solo intercettazioni, scenari che emergono dalle telefonate tra il tesoriere e una delle segretarie, ma il quadro fa ugualmente impressione. Il prode Renzo che va in via Bellerio per far sparire i faldoni sulla casa ristrutturata utilizzando i soldi pubblici. Un carnet di assegni in bianco (sempre soldi pubblici) a disposizione della famiglia Bossi per le spesucce correnti. Un milione di euro devoluti alla scuola Bosina di Varese di Manuela Marrone, la moglie del grande capo, la donna che in questi anni ha «badato» a mantenere in vita la creatura politica inventata da suo marito. E poi ancora denaro per comprare un bar a Milano ai figli, una casa in Sardegna a Rosy Mauro, la focosa ideatrice del sindacato padano, e il lampeggiante blu nell’auto del rampollo, gli investimenti in Tanzania, i contatti con la ‘ndrangheta… In attesa di aprire altri cassetti, davvero Maroni, tra una lacrima e l’altra, vuole darci a bere la favola del suo sostegno ad una candidatura di Bossi?
Il futuro è lui. Ma la Lega non potrà mai fare a meno di Bossi, perché oltre che un simbolo gode ancora di grande consenso soprattutto nell’anima più popolana del partito. La sua presenza però da anni era solo di facciata, per lui governava il «cerchio magico» e adesso che l’incantesimo si è rotto il partito sarà costretto a cambiare pelle cercando di non perdere consensi. E’ la fine della Lega, o di questa Lega? Se Maroni riuscirà a tenere insieme i pezzi da novanta (i piemontesi di Cota e i veneti di Tosi) – e le premesse ci sono tutte – potrebbe anche nascere un partito più forte di prima. Una Lega moderna, sempre radicata sul territorio, con leader giovani e capaci, ripulita da quel fascino arcaico in canottiera che ha fatto il suo tempo, potrebbe riservare brutte sorprese. Rimane pur sempre il primo partito all’opposizione, di un governo anti popolare come questo.
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